In questi mesi si parla tanto dei possibili scenari post-elezioni europee, e di come queste avranno un impatto anche su altre aree regionali nel mondo. Ma sono ancora poche le analisi che analizzano cosa queste significheranno per la regione dei Balcani occidentali. Eppure, è cruciale sapere che il risultato delle europee cambierà certamente l’approccio generale europeo nei confronti dei Balcani.
La situazione attuale nei Balcani è molto complicata; è difficile parlare di uniformità della regione, quando si assiste ad un Montenegro a costante rischio di elezioni, una Macedonia del Nord bloccata dai veti degli stati membri dell’Unione europea, un’Albania in balia delle proteste dell’opposizione, un Kosovo non supportato dall’Occidente, una Bosnia ed Erzegovina sempre divisa internamente, e una Serbia che aumenta le tensioni, senza per altro aver nessuna punizione per questo comportamento.

Le elezioni europee cambieranno sicuramente lo scenario, ma al momento le previsioni non sono di sicuro ottimistici. Le previsioni attuali danno infatti il Partito Popolare Europeo PPE (in cui c’è anche Forza Italia) a 181 seggi (in leggero ribasso rispetto al 2019), i Socialdemocratici S&D (di cui è membro il Partito Democratico) a 140, Identità e Democrazia ID (con la presenza della Lega) a 92 (in forte aumento), I Conservatori e i Riformisti ECR (raggruppamento di Fratelli di Italia) a 83 (in rialzo), Renew Europe RE (con Italia Viva ed Azione) a 82 (in ribasso di sedici seggi), i Verdi/EFA a 49 (in ribasso di circa venti seggi), A sinistra 45, NI (indipendenti, tra cui Fidesz) a 44 e Non affiliati a 4.
Ora, che scenario si delinea per i Balcani, sulla base di queste previsioni? Sicuramente non uno favorevole alla politica di allargamento, visto e considerato che i partiti conservatori e di destra non per niente sono favorevoli ad accogliere nuovi membri. Inoltre, se davvero come sembra Von der Leyen diventerà di nuovo presidente della Commissione europea, dovrà comunque contare sul voto di Orban in Consiglio, e ciò significa che dovrà trovare compromessi per accontentarlo; la volta precedente gli ha concesso il Commissario all’Allargamento, uno dei fattori che ha eroso fortemente la credibilità dell’UE nella regione e che ci ha portati dove siamo oggi, con la Serbia che è sempre più ambigua nella sua posizione di equilibrio fra UE e la Russia e nelle sue interferenze negli Stati confinanti.

Dall’altra parte però, le elezioni porteranno anche a un rinnovamento della classe dirigente; nel dialogo tra Kosovo e Serbia, sicuramente i mediatori europei (che non hanno per nulla mediato, ma piuttosto preso una parte precisa) cambieranno, non ci rimarranno Lajcak e Borrell. Al momento si mormora che come nuova rappresentante della politica estera europea potrà esserci Kaja Kallas, la prima ministra estone; lei sì che conosce il rischio che la Serbia pone, lei sì che capisce l’influenza russa in Serbia. E se ci fosse lei, l’impostazione dell’Unione europea vis-á-vis della Serbia potrebbe avere qualche possibilità di cambiare (anche se certamente non dipende solo da lei).
La speranza è anche che, con la nuova Commissione, ci sia un Commissario dell’Allargamento degno di questo nome, che davvero si preoccupi di far avanzare i Balcani verso ‘adesione; la Macedonia del Nord, l’Albania e il Montenegro meriterebbero di poter finalmente avere una deadline precisa di quando diventeranno membri. Il Kosovo meriterebbe di vedere il proprio avanzamento valutato in modo separato dal Dialogo con la Serbia e di poter ottenere finalmente lo status da candidato (nonché il suo riconoscimento come Stato da parte degli ultimi 5 Stati membri dell’UE che non ancora ancora riconosciuto la sua indipendenza). La Bosnia ed Erzegovina meriterebbe di poter cominciare finalmente i negoziati, dopo tutti questi anni in attesa e dopo aver implementato diverse leggi importanti. La Serbia invece dovrebbe finalmente avere un blocco nei negoziati, i fondi bloccati, finché il governo non comincerà a cambiare rotta, abbandonare la politica ambigua nei confronti della Russia e a rispettare i valori europei. Bisogna rompere la strategia d’”appeasement” che l’Unione europea sta perseguendo nei confronti della Serbia: non funziona, e danneggia inoltre i rapporti con gli altri paesi dei Balcani.

Insomma, queste elezioni europee hanno un grande potenziale anche per i Balcani. Possono sconvolgere e stravolgere il quadro della politica estera europea. Possono dare un grande impeto e una nuova energia a situazioni che per troppo tempo sono rimaste ferme e chiuse; possono perfino far ripartire processi che erano stati lasciati “in panchina” sulla base di decisioni strategiche che tanto strategiche alla fine non erano.
È tempo quindi per un riassestamento generale della politica estera europea, e in particolare di quella sui Balcani. È tempo di ascoltare ciò che i cittadini di quei paesi cercano di dirci: che non abbiamo capito ciò che succede davvero laggiù; che abbiamo dato troppo spazio alla Serbia (anche se sicuramente non è l’unico problema nella regione). Che non li abbiamo protetti come avevamo promesso di fare, soprattutto dopo aver permesso i crimini orribili che la Serbia ha commesso negli anni ’90.
I Balcani sono i nostri vicini,. E a noi conviene aiutarli e includerli, tenuto conto anche che un conflitto in quella regione avrebbe ricadute pesanti anche per il resto dell’Europa, ancor più che la guerra in Ucraina.
Le elezioni europee saranno una svolta per tanti motivi e in tanti settori. Nella politica di allargamento, la speranza è potrebbero costituire una svolta positiva per smuovere tante situazioni che, fino ad oggi, erano bloccate per precise ragioni politiche.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.