Cazzolate
Il risultato
L’Emila-Romagna, quella regione inespugnabile fatta di ricchezza e benessere. L’illusione civica di Ugolini
Nel 2 a 0 delle elezioni regionali del 17 e 18 novembre, l’attenzione principale è stata riservata alla vittoria del centrosinistra allargato in Umbria: un risultato controverso fino all’ultimo, conseguito sul filo di lana per poche migliaia di voti. Si può pensare che se il centrodestra avesse prestato più attenzione alle alleanze (ad esempio all’arruolamento degli àscari di Alternativa popolare) probabilmente avrebbe dato prova di quella maggiore serietà (“dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”) che appariva indispensabile a compensare nelle urne il crollo del partito a cui appartiene la candidata uscente.
La regione inespugnabile
Ma il risultato più significativo per le opposizioni è quello dell’Emilia-Romagna, anche se largamente previsto nel corso di tutta la campagna elettorale. Questa volta però la vittoria netta di Michele De Pascale assume un significato definitivo, come se le speranze delle destre di rovesciare una situazione consolidata fossero state ricoperte da una pietra tombale e archiviate per un congruo numero di anni. Nel 2020 il fortilizio emiliano-romagnolo temette di essere espugnato dalla destra a conduzione salviniana. L’elettorato della Regione fu coinvolto in un aspro confronto in cui i problemi del territorio erano assolutamente ininfluenti (la destra più trucida aveva condotto, nell’imbarazzo del Pd, una campagna elettorale imperniata sulla montatura del caso Bibbiano), perché gli schieramenti in campo erano impegnati in una battaglia di carattere nazionale, il cui esito poi condizionò le scelte future del paese. Gli elettori furono in grado di fermare la “resistibile ascesa” di Matteo Salvini, che da quella sconfitta non si è più ripreso. Ma tutti gli schieramenti in campo colsero il senso di quella battaglia, in cui la questione di chi avrebbe governato la Regione apparve un problema secondario rispetto a una possibile spallata agli equilibri nazionali.
Il percorso
Il 17 e 18 novembre non c’era nulla da salvare. Comunque fossero andate le elezioni, il quadro politico nazionale non ne avrebbe risentito. La destra, con una nuova leadership, aveva preso d’assalto e conquistato il Palazzo d’inverno nel 2022. Questa volta ha commesso degli errori? Innanzitutto ha sottovalutato la candidatura di De Pascale che, da sindaco di Ravenna, non si sottrasse – come a Piombino la destra – all’installazione del termovalorizzatore, in un contesto in cui non si è mai fatta la guerra alla trivellazione del gas naturale. Andrea Orlando invece ha cercato di allontanare dalla Liguria quella riallocazione degli impianti che si era impegnato a fare da ministro. Non ci voleva molto, poi, a capire che il martirio delle alluvioni non avrebbe incrinato più di tanto il rapporto tra gli elettori e il sistema di potere emiliano-romagnolo. Anzi, la scelta di un amministratore in prima linea su quel fronte assumeva il significato di una comunità che si compatta nelle difficoltà, che riconferma la fiducia in chi la rappresenta, nel momento in cui vengono tirate le somme di antichi conti attinenti al governo dell’ambiente e del territorio.
Perché cambiare
La destra non ha trovato di meglio che affidarsi per l’ennesima volta alla sindrome Guazzaloca, al candidato civico che – è una sua radicata convinzione – la rende presentabile e competitiva. Questa volta ha voluto provarci una maestrina dalla penna rossa, forte soltanto del pensiero debole di don Luigi Giussani. Il messaggio-chiave di Ugolini consisteva nel sollecitare un cambiamento che rimettesse “al centro le persone”. Ma perché gli emiliani-romagnoli dovrebbero voler cambiare, quando sanno di vivere nel migliore dei mondi possibili? In una Regione, cioè, in cui dilagano la ricchezza e il benessere, dove i livelli di occupazione – compresi quelli femminili – vantano standard simili a quelli dell’Europa del Nord, dove le aziende di servizi pubblici sono quotate in Borsa e gli Enti locali ricavano – in entrata – dai mercati finanziari quelle risorse che, altrove, vengono impiegate per risanare i passivi di Bilancio; dove i netturbini puliscono le strade e gli inceneritori bruciano i rifiuti; anche a Parma, la città in cui venne eletto Federico Pizzarotti, il primo sindaco grillino.
Edmondo Berselli scrisse che “quel gran pezzo dell’Emilia” fu creato dall’Onnipotente al solo scopo di fornire un contesto idoneo alla Ferrari. Un grande principe della Chiesa definì gli emiliani “sazi e disperati”. Ma la disperazione si sopporta meglio – con buona pace del NYT – davanti a un tagliere di affettati.
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