Il primo del mese non è un giorno come un altro. Non il giorno dello stipendio, della pensione incassata o degli sconti al supermercato, ma un appuntamento fisso, attesissimo: è il giorno in cui esce una nuova puntata di “Indagini” il podcast de “Il Post”.

“Mi chiamo Stefano Nazzi e faccio il giornalista da tanti anni. Nel corso della mia carriera mi sono occupato di storie che nel tempo vi sono diventate familiari e altre che potreste non aver mai sentito nominare. Storie di cronaca, di cronaca nera, cronaca giudiziaria”, apre così il programma che in pochi mesi è diventato cult e che su Spotify è il più ascoltato d’Italia. Non va in radio, non sui social, neanche in tv: si può trovare sulle maggiori piatteforme musicali, sezione “true crime”.

La prima cosa che ha determinato il suo successo è l’approccio al racconto: Nazzi non descrive le vicende in maniera asettica ma ti porta dentro ai crimini, con dettagli e spunti di interpretazione, rendendo avvincente la narrazione. Si focalizza soprattutto su quello che ruota intorno ad un’indagine, le intuizioni, gli errori e l’influenza reciproca tra tribunali e mass media.

La cronaca nera e giudiziaria diventano quindi accessibili a tutti, perché spogliate da ogni sensazionalismo e inserite in un’ottica di obiettività, la quintessenza del giornalismo. Ed è interessante che proprio il giornalismo – che nasce sulla carta stampata – trovi invece il suo spazio di popolarità su una piattaforma digitale dove è previsto solo l’ascolto, come una radio da programmare a tuo piacimento, solo quando ti serve.

Con le sue puntate “Indagini” ha conquistato il pubblico, trasversale sia nel genere che nell’età, un racconto ad una voce sola, graffiante, che parla dei tanti casi che spesso hanno preso il nome dal luogo in cui sono avvenuti. I titoli scorrono tra Cogne, Garlasco, Erba, Avetrana, Via Poma… Vi ricordano qualcosa? Ogni luogo un omicidio, ogni omicidio un rebus.

Tanti interrogativi, un solo dato certo: Nazzi riesce in 50 minuti a tuffarti in un’indagine con la maestria che può avere solo chi ha lavorato nei giornali per una vita. Per certe cose non ci si improvvisa.

Altro elemento interessante è scomparsa del “mostro” tanto caro ai titolisti. I “boia” sono invece uomini e donne che hanno ucciso non tanto per efferatezza quanto per stupidità. C’è la cattiveria certo, la violenza, il superamento del limite invalicabile del male, ma spesso non c’è una ragione. Dunque una stupidità umana che toglie la vita, accoltella, strozza, spara e rovina intere comunità. E poi c’è la magistratura che indaga. E a volte ci prende, e a volte no.
Così Nazzi scartabella documenti e fonti, puntando da una parte a isolare il reato da un racconto morboso, e dall’altro a capire quanto spesso sia stato facile influenzare l’opinione pubblica e quanto a volte la pressione della stampa possa aver portato fuori strada le indagini. Perché nella ricerca della verità nessun mondo rimane impermeabile agli altri, e la fretta non aiuta.

Quello che resta è l’incredulità di noi spettatori davanti a certi fatti, l’alone fitto del mistero e la voglia, innata, di saperne sempre di più.

Maddalena Messeri

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