“La confusione senza freni sul rapporto fra i fini e i mezzi mi sembra oggi il centro dello smarrimento generale in cui ci troviamo”. Chesterton lo scrive nel 1926, Giovanni Molfetta, raffinato ricercatore in filosofia, lo traduce, per la prima volta in italiano, nel 2023 (“Giovani idee. La felicità di pensare”, Edizioni Ares, 184 pagine, 15 euro). Vista la premessa, uno si aspetta un ponderato trattato filosofico sui fini e sui mezzi, da Machiavelli a scendere (o a salire) fino all’inizio del ’900. Lo svolgimento, invece, è questo: “Il charleston può essere un valido aiuto pratico per imparare a giocare bene a golf”. Letta questa massima, Chesterton così la commenta: “Lo confesso, trovo la cosa davvero interessante, perché solleva molte domande profonde. Anzitutto mi chiedo: dire ‘Il golf può essere un valido aiuto pratico per imparare a ballare bene il charleston’ sarebbe altrettanto corretto? (…) Perché la prima disciplina è sufficientemente buona da essere un fine, mentre la seconda è buona soltanto come mezzo per giungere al fine?”.

Il problema (quale sia il mezzo e quale il fine), soprattutto per i politici, è capitale. Chesterton lo risolve così: “Mi sembra del tutto antifilosofico per un uomo ballare con una donna allo scopo di giocare a golf (…) Credo veramente che abbia più senso per un uomo giocare a golf con l’obiettivo di perfezionare il ballo. (…) Ballare può essere bellissimo, e la bellezza può essere un assoluto”. L’argomentazione, con logica inesorabile che contempla anche l’orario del golf e del ballo, va avanti per pagine e giunge – cento anni fa – a una considerazione di stretta attualità, un tema da talk show lanciato nel dibattito intellettuale di inizio ‘900 e sopravvissuto sino ai giorni nostri: “Nel complesso la presenza dell’uomo è un vantaggio o uno svantaggio per la natura?”. Qui la cosa si fa più seria rispetto al golf e al charleston. Ma il dilemma è lo stesso: quale il fine? Quale il mezzo?
Chesterton si chiede se “il fine dell’uomo sia far crescere i prati e migliorare l’allevamento dei serpenti a sonagli” o piuttosto “la capacità di rendere la giungla più folta o di incoraggiare le giraffe a diventare sempre più alte”, fino al dilemma cruciale: “Se non ci fossero gli uomini, ci sarebbero più palme?”.

Gianni Vattimo, in un colloquio personale, attovagliato a un tavolo di ristorante a Torino durante i miei anni universitari, definì quelle di Chesterton “boutades”. Non mi convinse. Io penso che il paradosso (soprattutto quando gioca di sponda col senso comune) sia un’espressione della realtà nella sua verità ultima, e un metodo argomentativo che ne facilita la comprensione. Questo libro, che raccoglie articoli polemici del Chesterton più volutamente e coscientemente paradossale, sconosciuti al lettore italiano, mi ha confermato nella mia convinzione.

Le pagine sull’assurdità del mettere musica a tutto volume nei ristoranti (scritte negli anni Venti del ‘900) confortano la sofferenza di chi è sottoposto a questa tortura all’inizio del terzo millennio. Tortura che rovina tre piaceri (il cibo, la musica e la conversazione) e offende sia lo chef sia il musicista perché non li ritiene degni di soddisfare da soli il gusto dell’avventore. Con il risultato di rovinare la degustazione di entrambe le loro opere.

Consiglio infine ai futurologi la lettura delle pagine dedicate al valore dell’archeologia, nelle quali si spiega perché sia più interessante e pieno di sorprese lo studio del passato rispetto alla previsione del futuro: “Parliamo del passato come morto, ma c’è un senso veramente speciale e concreto per cui il passato è sempre una cosa viva e il futuro sarà sempre una cosa morta”. L’argomentazione ha a che fare con la libertà: la previsione del futuro prende inevitabilmente sostanza in un calcolo sviluppato in base ai dati in nostro possesso, non contempla quindi, non può, la libertà di chi nel futuro agirà. Non prevede sorprese. Lo studio del passato è invece la scoperta della potenza della libertà in azione, del libero arbitrio di uomini e donne che hanno fatto e disfatto la storia a loro piacimento. Il passato è una sorpresa continua.

Ma qui mi fermo. Ingabbiare Chesterton in una interpretazione sarebbe un delitto imperdonabile. Un reato contro “la felicità di pensare”, che era ciò che gli stava più a cuore. Leggetevelo voi.

Ubaldo Casotto

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