Esteri
L’Europa dovrebbe imparare dagli Emirati: così si sconfigge il fondamentalismo
In un mondo segnato da tensioni settarie e dall’ascesa di gruppi estremisti, gli Emirati Arabi Uniti si distinguono per un approccio unico nella gestione della questione religiosa, un modello che l’Europa incapace di individuare i seminatori d’odio finché non diventano veri terroristi, dovrebbe seguire immediatamente.
Lontano da modelli repressivi o lassisti, il paese del Golfo ha sviluppato un sistema ibrido che combina rigido controllo statale con la promozione di un Islam moderato e inclusivo. Al centro di questa strategia ci sono misure come i sermoni uniformi nelle moschee, la messa al bando dei Fratelli Musulmani e una serie di iniziative diplomatiche e legislative volte a sradicare le radici ideologiche dell’estremismo. Questo “modello emiratino” non solo ha garantito la stabilità interna, ma è diventato un punto di riferimento per la lotta internazionale contro radicalismo e terrorismo. Una delle colonne portanti di questa politica è il controllo centralizzato sulle moschee sunnite, affidato all’Autorità Generale per gli Affari Islamici e le Donazioni (Awqaf). Per legge, tutti i sermoni del venerdì – noti come khutba – devono seguire testi approvati dal governo, un meccanismo introdotto per prevenire la diffusione di discorsi incendiari o fondamentalisti. In pratica, questo significa che migliaia di imam in tutto il paese recitano lo stesso messaggio settimanale, focalizzato su temi di tolleranza, convivenza e sviluppo nazionale, evitando interpretazioni radicali delle parti del Corano più belligeranti.
A Dubai, ad esempio, la uniformità è totale: come confermato da osservatori locali, ogni moschea segue lo stesso copione, garantendo che non vi siano deviazioni significative dai temi approvati. Gli imam sono sottoposti a una formazione obbligatoria e devono aderire a un dress code standardizzato, con tuniche e copricapi forniti dallo Stato, per simboleggiare l’unità e la moderazione. “Questo non è solo controllo, ma educazione”, ci tengono a sottolineare gli emiratini, che con orgoglio rivendicano come il sistema abbia ridotto drasticamente gli episodi di radicalizzazione nelle comunità locali ed eliminato il terrorismo. Alcuni critici lamentano una limitazione alla libertà di predicazione, ma il governo ribatte che tali misure hanno contribuito a mantenere la pace sociale in un Paese dove vivono persone di tutte le nazionalità.
Nessuna misura è stata più significativa della lotta degli Emirati contro il fondamentalismo quanto la designazione dei Fratelli Musulmani come organizzazione terroristica nel 2014. Il gruppo, fondato in Egitto nel 1928 e noto per la sua ideologia politico-religiosa, è visto da Abu Dhabi come una minaccia esistenziale, accusato di fomentare instabilità e sovversione. Negli Emirati, i “Fratelli” hanno operato per anni attraverso associazioni che hanno infiltrato scuole, ONG e persino circoli governativi. La risposta emiratina è stata multidimensionale: arresti di massa, congelamento di asset e processi per centinaia di presunti affiliati. Oggi, l’appartenenza ai Fratelli è punita con pene fino all’ergastolo, in base alla legge anti-terrorismo del 2014 e alla più recente Federal Law 34 del 2023, che combatte discriminazione, odio ed estremismo. Questa legislazione ha esteso il divieto a qualsiasi promozione di ideologie “estremiste”, inclusa la letteratura o i media che esaltano lo jihadismo politico.
Gli UAE non si limitano alla repressione interna: attraverso una campagna diplomatica spingono gli alleati del golfo e soprattutto quelli occidentali a seguire l’esempio, e talvolta vengono ascoltati come dimostrato dalle recenti iniziative al Congresso USA per classificare i Fratelli musulmani come terroristi. “I Fratelli Musulmani non sono un partito moderato, ma la culla del terrore moderno”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Abdullah bin Zayed nel 2017, un monito che riecheggia ancora oggi e che solo l’Europa sembrerebbe non aver compreso. Oltre al pugno di ferro, gli Emirati puntano al velluto: un vasto programma di “soft power” religioso per contrastare l’estremismo alla radice. Il Paese promuove un modello di Islam tollerante, supportando studiosi ed iniziative in particolare attraverso il Ministero della Tolleranza e della Coesistenza, istituito nel 2016, ed eventi come l’International Dialogue of Civilizations and Tolerance organizzato dall’Emirates Scholar Center for Research & Studies o strutture come la Casa di Abramo ad Abu Dhabi – un complesso interreligioso – che simboleggiano questa visione armoniosa.
La strategia include anche la diplomazia culturale: gli UAE finanziano moschee e centri islamici nel mondo per diffondere un “Islam pacifico”, contrastando narrazioni wahhabite o salafite. Il divieto di importazione di testi radicali completano il quadro, con il governo che vieta esplicitamente la disseminazione di materiali estremisti che promuovono la violenza. In un’era di crescenti minacce jihadiste, gli UAE offrono un Islam che abbracci la modernità e parallelamente il controllo sull’Islam radicale. Il modello emiratino ha i suoi detrattori: organizzazioni per i diritti umani accusano gli UAE di usare la lotta all’estremismo per silenziare dissenso politico. Eppure, i risultati parlano chiaro: dal 2014, non si registrano attentati interni significativi, e il paese è salito in cima alle classifiche globali per tolleranza religiosa.
Il progetto più simbolico è la Casa di Abramo ad Abu Dhabi, inaugurata nel 2023, che riunisce una moschea (Imam Al-Tayeb Mosque), una chiesa (St. Francis Church) e una sinagoga (Moses Ben Maimon Synagogue) sotto lo stesso tetto. Questo complesso, unico al mondo, incarna il dialogo interreligioso e ha attirato l’attenzione globale come simbolo di coesistenza.
Il Paese ospita inoltre circa 40 chiese cristiane, che servono una comunità cristiana pari al 12,6% della popolazione, e ha favorito l’espansione di luoghi di culto ebraici, specialmente dopo gli Accordi di Abramo del 2020. A Dubai, la comunità ebraica dispone di sinagoghe, scuole religiose e bagni rituali (mikveh), mentre il governo garantisce protezione legale alla libertà di culto attraverso decreti puntuali. Inoltre, templi indù e altri luoghi di culto non musulmani – altri 13 in totale – sono stati aperti per accogliere le diverse comunità religiose presenti nel paese. Negli Emirati la religione è uno strumento di pace, non di divisione. Questo approccio insegna molto all’Occidente su come dovrebbe gestire il fondamentalismo islamico, basterebbe copiare, adattare il modello Emiratino alle nostre società e i risultati sarebbero evidenti in tempi molto rapidi.
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