Luigi Di Maio, già vicepresidente del consiglio e ministro degli Esteri, è il Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per le relazioni con i Paesi del Golfo (UE–GCC). Incarico avviato nel 2023 e confermato fino al 2027. Coordina la strategia UE con i sei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo su diplomazia, sicurezza, energia e investimenti.

Qual è oggi lo stato dell’arte delle relazioni UE–Paesi del Golfo? Dove sono i colli di bottiglia da rimuovere per fare un salto di qualità?
«Tra il 2021 e il 2022 abbiamo impostato una partnership strategica con il Golfo; poi le crisi in Ucraina e a Gaza hanno reso questi Paesi ancora più centrali per mediazione e facilitazione. Oggi esiste un’infrastruttura di cooperazione molto più solida, ma può e deve crescere ancora».

Che cosa ha cambiato, in concreto, il primo summit dei leader UE–GCC (Bruxelles, ottobre 2024) e cosa vi aspettate dal prossimo in Arabia Saudita nel 2026?
«È stato il primo summit in oltre trent’anni: ha dato indirizzo politico e ritmo al lavoro tecnico. Il seguito nel 2026 in Arabia Saudita dovrà consolidare questa architettura e tradurla in risultati misurabili».

Sul piano operativo: quali dossier sono più avanzati?
«Abbiamo avviato il negoziato commerciale con gli Emirati Arabi Uniti e lanciato Strategic Partnership Agreements con ciascun Paese del Golfo. Con l’Arabia Saudita abbiamo chiuso i negoziati per un MoU sull’energia; formiamo congiuntamente i diplomatici e abbiamo tavoli strutturati su cyber, antiterrorismo e sicurezza marittima».

Gaza resta il dossier più urgente. Come si muove l’UE con i partner del Golfo?
«Con l’Arabia Saudita abbiamo lanciato un’alleanza globale per la soluzione a due Stati. Siamo in contatto costante con il Qatar per sostenere la loro facilitazione sul cessate il fuoco e lavoriamo in coordinamento con gli Stati Uniti. Pensiamo al lungo periodo, gestendo al contempo le contingenze insieme ai partner regionali».

Qual è la “fase 2” a cui si fa riferimento per il giorno dopo a Gaza?
«Tre pilastri: disarmo di Hamas; ricostruzione con coinvolgimento di imprese e fondi di entrambe le sponde; rafforzamento delle istituzioni palestinesi attraverso riforme collegate ai nostri finanziamenti. L’UE è primo contributore dell’Autorità Palestinese e ha due missioni sul terreno: EUBAM Rafah e una missione di training di polizia».

Sicurezza marittima nel Mar Rosso: cosa fa l’Europa e con chi?
«La missione EU ASPIDES protegge la libertà di navigazione a Bab el-Mandeb. Marine italiana, greca e francese sono costantemente in teatro con rotazione del comando; cooperiamo con la Marina saudita e abbiamo supporto logistico dai porti dell’Oman. In più occasioni abbiamo evitato incidenti con potenziale disastro ambientale».

Yemen: perché il processo di pace si è inceppato e cosa serve per ripartire?
«Dopo il 7 ottobre gli Houthi hanno attaccato navi commerciali, rendendo difficile tornare al tavolo. La condizione minima è l’impegno chiaro a fermare gli attacchi e ripristinare la libertà di navigazione. Le operazioni difensive servono nel breve; la soluzione resta un accordo sotto l’egida ONU con garanzie regionali».

Tutto nasce dall’Iran. Come evitare l’escalation e riaprire un percorso sul nucleare che includa la regione?
«Le iniziative devono essere “region-led”. Essere cioè sviluppate sulla base di intese regionali. Il modello Oman, che facilita i contatti USA–Iran, resta valido. Con lo snapback attivato dall’E3 dobbiamo essere fermi ma anche pronti a rimuovere misure se c’è un accordo credibile sulla non proliferazione. Arricchimenti al 60% non sono compatibili con usi civili: lo stop duraturo è solo diplomatico, verificabile e condiviso con i Paesi del Golfo».

Quale contributo può arrivare dal Golfo alla sicurezza degli approvvigionamenti e alla decarbonizzazione europee?
«Il Golfo è ormai protagonista su rinnovabili e idrogeno. Penso ad ACWA Power nell’idrogeno verde e ai programmi di Emirati e Oman. Con REPowerEU l’UE punta entro il 2030 a produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno e ad importarne altri 10: il Golfo potrà coprire una quota importante. Stiamo finalizzando con l’Arabia Saudita un accordo energetico anche sulle rinnovabili».

Costi, logistica, domanda: dove si sblocca davvero l’idrogeno?
«La più grande società di idrogeno verde al mondo si chiama Aqwa Power, è saudita e il suo Ad è un italiano, Marco Arcelli. Sul trasporto l’ammoniaca è una soluzione in sviluppo. Il nodo resta il costo. L’UE, se coordina la domanda, può fare da ancoraggio di prezzo. Intanto avanzano progetti su data center alimentati da rinnovabili: le scale nel Golfo sono enormi e abilitano investimenti industriali e digitali».

Che ruolo ha l’Italia nel quadro UE–Golfo?
«L’Italia è un moltiplicatore di fiducia nel contesto europeo: la stabilità politica degli ultimi anni ha rafforzato la continuità dei rapporti con tutte le capitali del Golfo. Le nostre imprese sono presenti nei programmi “Vision” con filiere mature in energia, infrastrutture, trattamento acque, salute, agro-tech, lusso e cultura. Crescono cooperazione su difesa civile, sicurezza marittima, formazione diplomatica e universitaria, transizione digitale. Il dialogo culturale – archeologia, musei, restauri, creatività – è un asset che apre porte ai partenariati economici. Dobbiamo spingere di più sulle PMI: consorzi export, piattaforme comuni per la domanda di idrogeno, project finance miste e una cabina di regia che accorci i tempi decisionali. In sintesi: l’Italia porta affidabilità, know-how e manifattura di qualità; il Golfo offre scala, capitali e velocità esecutiva. L’integrazione di questi punti di forza conviene a entrambe le parti».

Guardando ai prossimi dodici mesi: le tre priorità del suo mandato nell’area Golfo?
«Consolidare l’architettura politica UE–GCC tra i due summit; accelerare su energia e idrogeno con strumenti concreti di domanda e infrastrutture; contribuire alla stabilizzazione su Gaza, Mar Rosso e Yemen con percorsi diplomatici guidati dalla regione e cooperazione operativa su sicurezza e sviluppo».

Che cosa chiedete, in cambio, ai partner del Golfo per fare questo salto di qualità?
«Cooperazione strutturata su sicurezza marittima e cyber, e una regia condivisa dei processi diplomatici con reale inclusione regionale. L’UE è pronta a fare la sua parte con strumenti finanziari, know-how regolatorio e apertura di mercato».

E alla politica europea e italiana cosa serve per non perdere il treno di questa stagione mediorientale?
«L’Europa deve agire come mercato unico sull’idrogeno e come attore unico sulla sicurezza marittima. L’Italia può essere un acceleratore: continuità, affidabilità e capacità industriale sono la sua carta vincente nel Golfo».

Che cosa non le manca della prima linea della politica italiana?
«Nell’amministrazione politica dello Stato la pressione è enorme: televisioni, giornali, applausi ma anche attacchi. Ho profonda considerazione per tutti i frontrunner di oggi; ricordo bene quei livelli di pressione. Se non avessi perso quelle elezioni non avrei avuto la serenità per dedicarmi alla famiglia, per avere un figlio, persino per incontrare la mia compagna, cosa accaduta dopo che è finito tutto. Quello stato di pressione costante non mi manca; e lo dico non con disprezzo verso il ruolo che ho ricoperto, ma per rispetto di chi ancora lo fa».

Il clima politico europeo le pare più polarizzato rispetto a pochi anni fa? Perché?
«Sì, è più polarizzato e il mondo è più complesso. Ai tempi di Covid, Afghanistan e inizio della guerra in Ucraina sembrava il worst case scenario; poi è arrivato il 7 ottobre, la crisi in Sudan continua a deteriorarsi. In un contesto così, la politica tende a polarizzarsi: è un riflesso della complessità, non solo italiano ma europeo».

Si è chiusa la stagione del populismo aperta anni fa?
«Non lo so. Rimetto la risposta agli analisti».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.