Buone intenzioni. Significative assonanze d’intenti. Una pregnante dichiarazione finale. Ma il futuro della Libia resta pieno di interrogativi e denso di ombre inquietanti.

A Parigi è andata in scena l’ennesima Conferenza internazionale sulla Libia. A riunirsi alla Maison de la Chimie (un centro congressi non lontano dall’Eliseo), una ventina di capi di Stato e di Governo delle due sponde del Mediterraneo, nel summit copresieduto da Italia, Francia, Germania, Libia e Nazioni Unite . L’intento era quello di mettere dei punti fermi per rendere più agevole il percorso da qui al 24 dicembre, data fissata per le elezioni politiche e presidenziali in Libia. Un parterre importante quello parigino: Emmanuel Macron Mario Draghi, Angela Merkel, la vice presidente Usa Kamala Harris, Antonio Guterres e il primo ministro ad interim libico Abdul Hamid Dbeibah. Presente a Parigi anche un grande sponsor dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, ossia il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi. Nel suo intervento alla conferenza, Draghi, hanno fatto filtrare fonti diplomatiche al seguito del presidente del Consiglio, ha richiamato l’impegno della comunità internazionale e di tutti gli i gli attori libici per il successo della transizione istituzionale attraverso lo svolgimento delle elezioni presidenziali e parlamentari dal 24 dicembre 2021. «È questa la volontà chiara del popolo libico – ha affermato Draghi – come dimostra la registrazione di circa 3 milioni di elettori. Dopo anni di conflitto, il popolo libico deve potersi esprimere in elezioni libere, trasparenti e credibili», ribadendo la necessità di una cornice giuridica ed elettorale condivisa alla quale devono lavorare insieme le autorità libiche competenti nei prossimi giorni e settimane.

In questa ottica, la Dichiarazione finale della Conferenza insiste su tre punti. Primo: sanzioni delle Nazioni Unite per chi prova a boicottare il voto. Per scoraggiare, dunque, «quanti tentano di ostacolare il processo elettorale e la transizione politica». Secondo: una spinta politica internazionale che favorisca il processo di ritiro dei miliziani stranieri che affollano il conflitto nel Paese del Nord Africa. «Il piano del Comitato militare libico di ritirare i mercenari – è scritto nel testo – è in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite. Sosteniamo il piano d’azione globale per garantire il ritiro delle forze straniere e dei mercenari dalla Libia». Terzo punto, infine: l’impegno delle fazioni libiche ad accettare l’esito del voto, previsto sulla carta per dicembre. «Tutti in Libia – è uno dei passaggi del documento – devono rispettare i risultati elettorali e non ostacolarli». Italia, Francia e Germania sono unite anche nel chiedere il rispetto del calendario sul voto. Il processo elettorale, si sottolinea, dovrà essere «incontestabile e irreversibile». Fatto sta che una Conferenza senza il “Sultano” e lo “Zar” è quanto meno una conferenza amputata. Perché anche i sassi sanno che il futuro della Libia dipende molto dalle mosse sul campo della Turchia di Recep Tayyp Erdogan e della Russia di Vladimir Putin. A Parigi, Ankara è stata totalmente assente. È rimasta vuota anche la sedia del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che doveva partecipare in rappresentanza di Erdogan, probabilmente a causa della pressione per il ritiro dei mercenari e dei militari turchi, che negli ultimi anni hanno coordinato l’esercito di Tripoli. Quanto meno nella capitale francese l’assente Putin ha spedito il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov.

I propositi dei partecipanti al summit di Parigi sono importanti e impegnativi, ma tutti da verificare, La realtà dell’oggi è che la Libia era e continua ad essere una “fabbrica di tortura”. Stupri da praticare ed esibire. Torture da infliggere al buio e sevizie da mostrare alla platea di prigionieri, perché le ferite aperte dei malcapitati siano da esempio per tutti e continuino ad alimentare il business degli abusi «sotto il controllo assoluto delle autorità». A scriverlo è la missione d’inchiesta indipendente dell’Onu in Libia. Quanto alla sicurezza, essa è minata a causa di truppe straniere operative su territorio libico e migliaia di miliziani libici in lotta per la spartizione del potere. Sono loro a costituire la più grande minaccia per la messa in opera di numerose riforme e, quindi, per una stabilizzazione duratura. A esse vanno poi aggiunte cellule di varia provenienza dell’estremismo jihadista, da al-Qaeda a Isis, che non hanno mai cessato di operare. Di positivo a Parigi c’è il consolidamento del neo asse franco-italiano. Non a caso Macron ha proposto la co-presidenza della conferenza a Mario Draghi e Angela Merkel, accanto all’Onu e ai rappresentanti della Libia. Anche da Palazzo Chigi viene sottolineato «l’approccio coordinato» tra Roma e Parigi nello scenario libico. Tant’è che le stesse fonti lasciano filtrare che la conferenza di Parigi potrebbe essere seguita da un incontro a Roma nella primavera prossima. Insomma, per Mario Draghi è stata una trasferta comunque fruttuosa. Quanto poi alla stabilizzazione della Libia, è tutt’altra storia. Una storia dove l’happy end resta poco più di una labile speranza.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.