Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sulla riforma della giustizia e nello specifico sulla limitazione delle intercettazioni. Favorevole alla linea del ministro Carlo Nordio è il magistrato Paolo Itri secondo cui “limitare le intercettazioni tutela la privacy delle persone non coinvolte nelle indagini”. Contrario invece il senatore Walter Verini che considera la limitazione delle intercettazioni un errore perché “la legge vigente va bene già così: questo è bavaglio all’informazione”.

Qui il commento di Paolo Itri:

Con il nuovo disegno di legge, tra le altre cose, il governo interviene ancora una volta sulla tormentata disciplina delle intercettazioni telefoniche e ambientali, introducendo alcune norme che in realtà incidono ben poco sul tema della loro utilizzabilità processuale, e che riguardano piuttosto la tutela della privacy e il divieto di pubblicazione delle conversazioni. In particolare, con la riforma, il predetto divieto – che fino ad oggi era limitato alle sole intercettazioni che non fossero state ritualmente acquisite e dichiarate utilizzabili nel procedimento penale – viene esteso fino a essere consentita la pubblicazione delle sole intercettazioni il cui contenuto sia stato riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento.

Per chi ha un minimo di dimestichezza con le indagini e i processi, si tratta, tutto sommato, di ben poca cosa, visto che difficilmente – e solo con un certo sforzo di fantasia – è possibile immaginare un caso in cui una certa intercettazione, una volta acquisita e dichiarata utilizzabile dal giudice, non finisca per essere prima o poi riprodotta in una ordinanza cautelare o in una sentenza, ovviamente dopo che è stata effettivamente utilizzata dallo stesso giudice ai fini della decisione. Quanto alla utilizzabilità processuale delle intercettazioni (problema che precede, come si è detto, quello della pubblicazione), viene poi stabilito il divieto per il giudice di acquisire le registrazioni e i verbali che riguardino soggetti diversi dalle parti (ovvero gli imputati e le persone offese dal reato), sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza.

Anche in questo caso la riforma è destinata a incidere ben poco, in quanto la norma attualmente in vigore già oggi prevede che il giudice possa disporre l’acquisizione delle sole intercettazioni che non appaiano irrilevanti (senza quindi distinguere le conversazioni intercorse tra soggetti imputati e terzi interlocutori), escludendo quelle di cui è vietata per legge l’utilizzazione o che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che, anche per queste ultime, non ne sia dimostrata la rilevanza. Di notevole importanza – oltre che innovativo e altamente opportuno – è invece il divieto per la polizia giudiziaria, pure introdotto dalla riforma, di riportare nei verbali di intercettazione i “dati personali” dei soggetti diversi dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini; nonché il divieto, posto a carico del pubblico ministero e del giudice, di indicazione – con il conseguente divieto di pubblicazione – dei predetti dati nella richiesta e nella ordinanza di misura cautelare, salvo che l’indicazione sia indispensabile per la compiuta esposizione dei fatti.

Per chi non lo sapesse, sono “dati personali” le informazioni che identificano o rendono identificabile una persona e che possano fornire informazioni sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute e la sua situazione economica. Se il disegno di legge verrà approvato, avremo quindi una disciplina più rigorosa a tutela della privacy delle persone non coinvolte nelle indagini, disciplina che non inciderà minimamente né sulla efficienza delle stesse indagini, e né sul diritto-dovere di cronaca, che a seguito della riforma permarranno sostanzialmente immutati rispetto alla situazione attuale. In effetti, la delicatezza della materia richiedeva un intervento al fine di riempire un vuoto legislativo non più tollerabile, non apparendo razionalmente giustificabile che la tutela della privacy debba sempre e comunque cedere di fronte al “muro” del processo penale, anche laddove non vi siano, in concreto, particolari esigenze investigative da salvaguardare.

Questo il quadro normativo delineato dalla riforma. Quadro che francamente non appare tale da giustificare particolari levate di scudi da parte di chi, come anche lo scrivente, oltre ad avere a cuore l’efficienza delle indagini, di cui le intercettazioni restano uno strumento indubbiamente insostituibile e necessario, non ha però nemmeno interesse ad alimentare polemiche in una materia che tocca un nervo scoperto della politica.