Le polemiche per l’elenco dei presunti “putinani” d’Italia scodellati sul Corriere della Sera non si placa. Sbattuti dal quotidiano della ‘borghesia italiana” in pagina con tanto di foto segnaletica, come se fossero protagonisti di una retata di polizia, i giornalisti e ‘influencer’ tacciati di essere al servizio della propaganda del Cremlino passano al contrattacco.

Il primo ad aver annunciato querela contro via Solferino era stato il più noto, Alessandro Orsini, docente di Sociologia del terrorismo, spesso ospite di trasmissioni televisive e dibattiti politici. “Farò causa al Corriere della Sera. Anche per tutti i miei colleghi liberi che devono subire le prepotenze di Luciano Fontana. E per i tanti adolescenti che credono in un Paese più libero e onesto di quello in cui viviamo. Il 14 giugno uscirà il mio nuovo libro in cui parlo anche del Corriere della Sera, della Repubblica e della Stampa. I giovani hanno molto da sapere sul modo in cui questi tre quotidiani fanno ‘informazione’“, ha scritto sui social, attaccando a testa bassa il direttore del Corriere Luciano Fontana e le due autrici degli articoli, Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni.

Ma Orsini non è il solo. Come riporta oggi Il Fatto Quotidiano, altri nomi presenti nella lista del Corriere sono pronti per le vie legali. Il primo è il fotoreporter freelance Giorgio Bianchi: “Querelo sicuramente”, spiega Bianchi a Tommaso Rodano. “Avevo già una pendenza con il Corriere che mi aveva definito ‘negazionista’, aggiungo anche questa. Sono un giornalista, racconto quello che succede in Donbass da anni. Non ho mai fatto ‘attività propagandistica filorussa’ come hanno scritto tra virgolette. E non sono proprietario del canale ‘Giubbe Rosse’, un altro falso. Per me è un danno professionale enorme. Hanno piazzato la mia foto e il mio nome indicandomi come una sorta di ripetitore delle parole del governo russo. Mi hanno processato in contumacia.

Potrebbe sporgere querela anche Maurizio Vezzosi, reporter freelance. Su Facebook Vezzosi ricordava come il suo nome “viene accostato ad un pietoso quanto improbabile epiteto. Spiacevolmente evidente è il goffo tentativo di delegittimarmi ad ogni costo, fosse anche quello dello scadere nel ridicolo: dimostrando, oltretutto, di ignorare pressoché in toto il contenuto delle mie riflessioni e delle mie analisi. A buon diritto, ci si aspetterebbe qualcosa di un poco più serio da un giornale che fu la voce della classe dirigente italiana”.

Ancora più paradossale il caso di Manlio Dinucci, 84enne geografo e scrittore promotore del comitato “No Guerra No Nato”, ex collaboratore de Il Manifesto. Pur non avendo voluto rilasciare dichiarazioni, martedì ha accusato Sarzanini, vice del Corriere, di dover rispondere “di un falso che ha scritto”. Negli articoli era riferito che Putin avrebbe ripreso alcuni passaggi di un libro di Dinucci (La Guerra – E’ in gioco la nostra vita) durante il comizio del 9 maggio scorso in occasione delle ‘Giornata della vittoria’, in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.

Le smentite di Copasir e intelligence

Sulla ‘lista di proscrizione’ dei presunti influencer di Putin Italia sia Copasir che intelligence hanno smentito lo ‘scoop’ del Corriere. Il primo a intervenire era stato Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica citato proprio dal quotidiano come artefice dell’indagine sui ‘putiani’.

La lista l’ho letta su giornale, io non la conoscevo prima”, aveva assicurato il senatore di Fratelli d’Italia, col Copasir che poi aveva ribadito di “non aver mai condotto proprie indagini su presunti influencer e di aver ricevuto solo questa mattina un report specifico che per quanto ci riguarda, come sempre, resta classificato”.

Successivamente sullo stesso caso era intervenuto anche Franco Gabrielli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi. Secondo Gabrielli non arriva dall’intelligence la lista dei presunti putiniani, con i Servizi che “non hanno stilato alcuna lista di politici, giornalisti, opinionisti o commentatori, né hai mai svolto attività di dossieraggio”.

Un tavolo “di confronto – aveva spiegato Gabrielli – istituito sin dal 2019 presso il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e al quale partecipano le diverse amministrazioni competenti per materia, la cui attività, svolta esclusivamente sulla base di fonti aperte, mira non all’individuazione di singoli soggetti, bensì alla disamina di contenuti riconducibili al fenomeno della disinformazione“. Alla luce di ciò le notizie su una presunta attività di dossieraggio e su eventuali liste “sono dunque destituite di ogni fondamento“, aveva concluso l’ex capo della Polizia.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia