Per gentile concessione della casa editrice Vallecchi Firenze, pubblichiamo la postfazione al romanzo di Cinzia Tani “L’ultimo boia – Storia di un pubblico giustiziere pentito” firmata da Sergio D’Elia.

Nel suo capolavoro letterario Passaggio in Ombra, Mariateresa Di Lascia, una delle fondatrici di Nessuno tocchi Caino, scrive che «bisogna essere molto ciechi per aggiungere nuove sofferenze all’eredità di dolore di chi è passato prima di noi».

Nessuno tocchi Caino nasce a Bruxelles nel 1993 con l’obiettivo di condurre una campagna internazionale per il superamento della pena di morte, di quella concezione primordiale della giustizia secondo la quale «chi ha ucciso, deve essere ucciso». Già da subito, nella scelta del nome, ci rendiamo conto che il ragionamento possa andare oltre la pena di morte, abbracciando il superamento della pena fino alla morte e della morte per pena. Il passo della Genesi, normalmente tradotto con «nessuno uccida Caino», desta delle perplessità e allora chiediamo a Erri De Luca di tradurlo dall’ebraico. Ne viene fuori una scoperta straordinaria: «Il signore pose su Caino un segno perché non lo colpisse chiunque lo avesse incontrato». La nuova traduzione, che mette al centro il segno della intangibilità e della tutela della vita e della dignità della persona, colpire e non solo uccidere, è considerata da Monsignor Gianfranco Ravasi e, nel 1995, con l’enciclica Evangelium Vitae di Papa Wojtyla, compare nei testi biblici.

Nel segno della storia di Caino, che diviene costruttore di città, le battaglie di Nessuno tocchi Caino contribuiscono al raggiungimento di un passaggio epocale: la Moratoria universale delle esecuzioni capitali, approvata dalle Nazioni Unite, nel 2007. La suprema assemblea del mondo considera ormai la pena di morte un ferro vecchio della storia dell’umanità. Cosa fare ancora per abolire la pena di morte? È un ferro arrugginito e perciò – non solo in Italia, anche nel mondo – tutti stanno attenti a maneggiarlo: tantissimi Stati hanno cancellato del tutto la pena di morte, alcuni non la usano più da decenni, altri si vergognano a usarla e la praticano in segreto, altri ancora l’hanno mascherata con il fine pena mai, l’ergastolo senza via d’uscita.
Per Nessuno tocchi Caino la nuova frontiera da superare diventa allora quella della pena fino alla morte. La lotta politica nonviolenta è ispirata alla ferma convinzione che la pena non debba essere dannazione eterna, ma riscatto, rinascita. Nel 2015, quindi, inizia il viaggio della speranza dei condannati alla pena senza speranza, il viaggio di spes contra spem, la speranza come spes, non come spem, come soggetto e non come oggetto, come materia viva e non fatalistica attesa di un domani migliore.

La grande lezione di Paolo di Tarso, rivissuta da Marco Pannella in comunione con Papa Francesco, anima i Laboratori del cambiamento denominati Spes contra spem, nelle sezioni di alta sicurezza delle carceri di Opera, Parma, Voghera, Rebibbia e Secondigliano, e libera nei detenuti nuovi livelli di coscienza. Alcuni di loro, condannati al fine pena mai, diventano protagonisti del docufilm Spes contra spem – Liberi dentro di Ambrogio Crespi, nel quale mettono a nudo la loro umanità, la loro luce interiore trionfa sul buio di una cella senza via di fuga. Così accade che dai detenuti di Opera, artefici del proprio cambiamento, il viaggio della speranza abbia raggiunto nel 2019 Strasburgo e i giudici supremi europei, che creano un nuovo diritto umano: il diritto alla speranza. La via della nonviolenza e del Diritto conduce poi a Roma, innanzi ai massimi magistrati della Corte Costituzionale, che aprono una breccia nel muro di cinta del fine pena mai e illuminano i volti degli uomini-ombra che, per la prima volta, non si alienano nello stigma del proprio reato.

Dopo la fine della pena di morte e del fine pena mai, non finisce il viaggio della speranza di Nessuno tocchi Caino. Continua e corre ora verso una nuova frontiera, quella invocata da Aldo Moro: la ricerca non un diritto penale migliore, ma qualcosa di meglio del diritto penale.

Siamo convinti che la morte per pena possa esser superata solo facendo leva sulla forza della parola, del dialogo, dell’amore, vero principio attivo della nonviolenza.
Nella lotta nonviolenta non si tratta infatti di mostrare i muscoli, di abbattere fisicamente il nemico, ma di con-vincere, vincere con, trasferire al potere la convinzione che lo Stato di Diritto, lo stato della vita, non possa nel nome di Abele divenire esso stesso Caino.

Crediamo che il mondo debba superare quella idea meccanicistica, rettiliana, secondo la quale al male, si risponde con il male e si debba vivere sotto il peso schiacciante dei confini chiusi, delle separazioni, della cultura dell’anti, del carcere. Il carcere va superato, nel nome di un diritto della tutela e del miglioramento, di una vita eraclitea nella quale tutto scorre come un fiume e non ci si bagna mai nella stessa acqua, ove non si sia vittime di una maledizione erinnica ma immersi nell’armonia.

Occorre non essere diabolici, manichei, portati a separare, a porre in mezzo ostacoli. Occorre essere religiosi, capaci di unire, tenere insieme, pensare che, essendo uomini, tutto ciò che umano non è a noi estraneo. L’unica risposta creativa, che ci eleva tutti al livello della coscienza orientata ai valori umani universali, è parlare al male con il linguaggio del bene, all’odio con il linguaggio dell’amore, alla forza bruta della violenza con la forza gentile della nonviolenza.
Questo vuol dire Nessuno tocchi Caino.