A un passaggino nell’articolo di Biagio de Giovanni pubblicato ieri da questo giornale devo un’osservazione che se fossi meno rimbambito avrei fatto da tempo: l’onestà al potere che fa giustizia degli oltraggiosi costi della democrazia mentre abolisce la povertà con un reddito di cittadinanza che finisce nelle tasche di due ragazzotti a bordo piscina tra una rissa e l’altra. La politica del “cambiamento” che si biforca da un lato verso la decapitazione parlamentare e dall’altro nell’elargizione della farina al popolo che soffre è in realtà il contrappunto della medesima demagogia miserabilista e fascistoide: e come la stirpe parlamentare che sopravvive al taglio non è meglio ma peggio di quella decollata, così la prebenda da tinello venezuelano serve meno a riparare l’indigenza vera che a rifocillare indebitamente quella falsa.

La retorica sulla spesa parlamentare decurtata tramite sfoltimento della partecipazione rappresentativa è la stessa che rigonfia i programmi assistenzial-clientelari del sistema che produce disoccupati ripagandoli con una mancia di Stato, con la buona probabilità che a percepirla sia una discreta quota di quelli che gridano contro l’odiato politicante mentre fanno colazione tra le buganville di un terrazzo a Positano.
Salvo poi, inutile dirlo, reagire allo scandalo scaricando la responsabilità sui “furbetti” e annunciando fustigazioni pubbliche anziché ammettere che tra gli inevitabili ricaschi di quelle politiche indiscriminatamente sussidiarie c’è appunto questo, il sussidio della truffa e dell’accaparramento parassitario e infine il finanziamento di qualche ingiustizia supplementare.

Il tutto però avviene sulla scorta di quell’inossidabile tensione al rimedio sfaticato, al riduzionismo trash della partecipazione popolare che si sfama nel depauperamento democratico bilanciato dalla mazzetta proletaria. Ed è una politica che nei seggi paga fino al settanta percento, come vediamo.