Politica
L’opinione: il PD partito-movimento di Schlein condannato all’opposizione

Tra i commenti che uno stuolo di giornalisti ha fatto ieri alla Direzione del Pd, solo uno, quello di Vittorino Ferla sul Quotidiano del Sud, ha colto l’essenza del problema che attanaglia quel partito: avere un gruppo dirigente che non c’entra quasi nulla con la sua storia, con le culture politiche che l’hanno formato e soprattutto con le tradizioni dei grandi partiti socialdemocratici e democratici di tutto il mondo. Ferla ha definito questa circostanza che non riscontro nella storia di nessun partito europeo “l’invasione degli ultracorpi” citando un grandissimo film di Don Siegel, di oltre sessant’anni fa, nel quale gli abitati di una piccola cittadini statunitense sono sostituiti da alieni.
Senza scomodare la fantascienza, non può sfuggire però, a chi ha ascoltato la relazione e poi la replica della Schlein, che dall’argomentazione, dal lessico, e persino dalla postura stessa della segretaria emerga la esplicita rivendicazione di una distanza progettuale e ideale dal partito che è stata chiamata a dirigere. Il Pd che la segretaria vuole forgiare non c’entra nulla con il Pd del Lingotto o di Renzi ma nemmeno con quello di Cuperlo e persino dello stesso Bersani: non è il partito delle correnti tra ex comunisti ed ex democristiani, tra massimalisti e riformisti, ma un partito-movimento ora comandato da chi ha sempre combattuto il Pd e la sua stessa natura di partito pluralista, a vocazione maggioritaria e soprattutto di partito di governo, che resta tale anche quando gli elettori lo mettono all’opposizione. E’ il partito delle Sardine e di Occupy Pd, di quel che resta della scommessa perduta di Sel e dell’ambientalismo radicale, che ha le sue radici profonde nel radicalismo americano di Ocasio Cortez e nel populismo di sinistra di Podemos e in Syriza, cioè in esperienze storiche che si sono rivelate perdenti, perché insieme all’antagonismo non stava nessuna visione concreta capace di governare la complessità delle società contemporanee.
Questo impasto di populismo e radicalismo si è impossessato del PD non solo come risultato di errori contingenti e di manovre strumentali accadute durante le primarie, ma come esito estremo di una battaglia antiriformista che le sue correnti massimaliste hanno ingaggiato prima contro Veltroni, poi contro Renzi, per paralizzare la forza innovativa del progetto democratico, e poi trasformandolo in una forza minoritaria all’inseguimento del populismo grillino nella convinzione di poter sopravvivere nella torsione bipopulista del sistema politico italiano.
Nel silenzio ormai strategico dei pochi riformisti rimasti del partito, l’esito movimentista e radicale del congresso dell’anno scorso era l’unica carta che l’oligarchia correntizia ha ritenuto di avere a disposizione per sopravvivere e tentare di rifare l’unica cosa che sanno fare: un partito postcomunista di unità democristiana, che ha i suoi eroi eponimi in Bettini e Rosy Bindi.
Ma purtroppo la Schlein si è rivelata inadeguata persino a questo obbiettivo facile facile, che si accontenta di accomodarsi in un’opposizione eterna perchè rinuncia alla cultura di governo vissuta come tradimento di destra, che perde le elezioni ma dice che è colpa di “quelli di prima”, che va in tutte le piazze senza sapere perché e senza proporre alcunchè: il tutto nascosto in un fiume di parole vacue, senza un obbiettivo, senza una prospettiva politica reale che non sia riproporre l’alleanza ormai sgonfia con il M5S, del tutto inadeguata a combattere la destra a egemonia meloniana; a cui, però, ha aggiunto una sprezzante sfida ai riformisti di adeguarsi e tacere o andarsene, nella convinzione che il messaggio ricompatti i suoi: come se il Pd fosse il Pdup o Lotta Continua. In quell’ora di discorso è emerso in tutta evidenza che Schlein non conosce il partito che dirige e la sua cultura politica ultra minoritaria cresciuta tra Possibile e altre frange movimentiste bolognesi non gli consente di guidarlo effettivamente, nemmeno nella terra incognita del movimentismo radicale
E cosi ieri abbiamo scoperto che Il PD indice una riunione della sua Direzione senza riuscire ad assumere nessuna posizione su nessuno dei temi dell’agenda politica nazionale e internazionale: giustizia, energia, sviluppo, Pnrr, migranti, guerra, natalità, lavoro, Europa; ma in compenso canta la solita litania della lotta alle diseguaglianze, della difesa dei diritti lgbtqia+ e dell’ambiente e lancia alcuni obbiettivi per una “estate militante”, sulle note di un disco dei Righeira.
Siamo di fronte a uno scenario catastrofico che dovrebbe chiamare tutti i riformisti a uno sforzo eccezionale di unità e di progetto. La destra sovranista va combattuta con una opposizione seria, di merito e forte di una idea del paese che possa attrarre consenso in quella prateria di astenuti che sono ormai la maggioranza dell’elettorato, che il Pd non è in grado di fornire, nonostante l’impegno nelle istituzioni di alcune dei suoi esponenti più significativi. Non c’è una competizione da attuare, c’è un vuoto da riempire.
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