Negli ultimi trent’anni la destra italiana ha partecipato ad esperienze di governo, ma come presenza in maggioranze egemonizzate dal centrismo berlusconiano, e scarsamente rilevante nelle scelte programmatiche e nelle decisioni di governo. Dopo il voto politico del 25 settembre, la destra invece guida la maggioranza di centrodestra e ne orienta le strategie, almeno nelle intenzioni.

Per la prima volta nella storia della Repubblica il potere esecutivo è esercitato dalla destra politica, direttamente, senza mediazioni o compromessi. Una nuova fase che richiede una lettura più attenta delle sue componenti identitarie e valoriali: che cosa è diventata la destra che si prepara a governare? La facile semplificazione del post fascismo non basta a farne comprendere la particolarità; le categorie del sovranismo e del populismo, servono di più, a patto che vengano usate con molta attenzione. Innanzitutto: è una destra italiana e le sue radici sono nazionali ed autarchiche. I tentativi di inventarsi parentele politiche o appartenenze culturali all’estero risultano artificiosi e sterili. Solo le esigenze delle istituzioni comunitarie, costringono la destra italiana ad alleanze parlamentari in Europa, che si rivelano però strumentali ed improduttive.

La collocazione internazionale della nuova destra di governo è la naturale conseguenza di questa sua identità nazionale: è saldamente occidentale ed atlantica; tiepidamente europea, anche se accetta di essere integrata nella dimensione comunitaria. Un ancoraggio sistemico che va verificato e rafforzato, per gli interessi del Paese. Perché ormai la destra sta iniziando il suo cammino attraverso le istituzioni di governo, ai diversi livelli di responsabilità e di potere. L’impianto amministrativo, finanziario, normativo dello Stato, è un sistema esecutivo incardinato nella vita quotidiana della Repubblica. Di questo la nuova destra di governo non ha né esperienza né conoscenza. E non sono questioni che si possono affrontare con le ideologie o la retorica delle buone intenzioni.

Una nuova maggioranza di governo deve essere affrontata da una nuova opposizione: nuova nei suoi contenuti, metodi, obiettivi, valori. Una opposizione plurale nella sua composizione; territoriale nelle sue radici; sociale nei suoi legami. Proprio perché stiamo entrando in una diversa stagione politica, mai sperimentata prima, i protagonisti di questo processo costituente devono essere consapevoli della sua necessità innovatrice. Un’opposizione che viva di contrapposizioni viscerali, perderà sempre. Nuovi soggetti politici che dall’opposizione costruiscono la transizione verso nuovi equilibri repubblicani, guideranno il Paese nella sua rinascita. Non è questo un discorso che possa essere affidato a poche riflessioni sul tamburo della battaglia. Non sappiamo se l’idea della costituente di una nuova opposizione, fondata su una forte capacità di rinnovamento valoriale e progettuale, avrà fortuna. Noi la lanciamo convinti, e cominciamo dalla nostra area di riferimento: il Mezzogiorno.

Nelle battute finali della campagna elettorale, Mezzogiorno Federato ha gridato, in un suo appello, che il Mezzogiorno doveva passare all’opposizione, perché era assente nelle prospettive del Paese. Giungevamo a questa conclusione dalla lettura comparata dei programmi; dalle priorità che emergevano nel dibattito; dalla marginalizzazione del Sud anche nella programmazione degli eventi elettorali, accompagnati dallo squallore delle promesse e degli impegni di circostanza. Il Mezzogiorno votando Cinque Stelle ha votato per l’opposizione. L’assistenzialismo è diventato il simbolo di queste elezioni nel Sud. Così come è diventato segno di opposizione la marcata astensione dal voto nelle Regioni meridionali.

Non possiamo accettare questo stato di cose che rende irreversibile un processo di separazione del Paese, e impossibile una strategia comune di risanamento e sviluppo. I 5s hanno giocato la loro carta: con la scelta assistenziale del reddito di cittadinanza si sono insediati nella società meridionale e ne possono influenzare gli orientamenti. Nessuna forza politica sembra interessata a contrastarli su questo terreno. Anzi, sembrano emergere ipotesi di compromessi ed intese che stabilizzerebbero l’influenza dei 5s nel Sud.

Contestualmente verrebbe accelerato il processo di attuazione delle autonomie differenziate per le regioni del Nord. Il Mezzogiorno che vogliamo verrebbe stritolato in una tenaglia senza scampo. Noi non abbiamo giocato alcuna carta: le elezioni anticipate ci hanno messo ai margini del confronto politico. Ma il tempo della politica è giunto. In questo scenario politico Mezzogiorno Federato deve scegliere i suoi interlocutori sulla base degli interessi del Sud. E per farlo deve agire come soggetto politico: fino in fondo.