Nessuna stretta di mano all'avversaria che replica: "Qui per giocare"
L’Ucraina batte la Russia, l’impresa (e il dramma) di Anhelina Kalinina: “Bombe a 300 metri da casa”
Il dritto incrociato finale non perdona, un tracciante micidiale che lascia ferma l’avversaria. La scena successiva è ancora di più impressionante: la giocatrice ucraina Anhelina Kalinina, n.47 del mondo, ha appena sconfitto in tre durissimi set (75-57-62) la russa Veronika Kudermetova che in classifica sta almeno trenta posizioni sopra la sua (n.12). La russa si avvicina alla rete, è prassi, il codice del fair play dice che si fa così, alla fine ci si da la mano sopra la rete, spesso le avversarie si dicono e sussurrano qualcosa.
Anche l’ucraina si muove verso la rete ma alza il palmo della mano in direzione dell’avversaria, un gesto eloquente per dire stop: “No, non ci provare, la mano non te la do”. Basta un gesto, non servono parole. La russa gira verso la sua panchina. L’ucraina verso la sua, prende l’asciugamano e si copre la testa. Due lunghissimi minuti di cui non abbiamo contezza, un frammento di privacy in uno stadio pieno di telecamere che ruba ogni minima smorfia. Quando Anhelina si leva l’asciugamano è impossibile distinguere il sudore dalle lacrime.
Ringrazia tutti, il pubblico che l’ha incoraggiata (“Anhelina, go go”, “Come on Anhelina”, e anche “Come on Ucraina”), sorride amaro, dice di essere stanca perché viene da tre partite e tutte concluse al terzo set ma sarà pronta per la finale (persa sabato contro la kazaka Elena Rybakina con la tennista ucraina ritiratasi all’inizio del secondo set per infortunio).
Un attimo di pausa e poi lo dice così: “Sono molto soddisfatta di quello che ho fatto qui a Roma, e ringrazio il pubblico italiano che mi ha spinto partita dopo partita anche quando pensavo di non farcela. Voi tutti sapete cosa sta succedendo nel mio paese e io spero che questo possa essere di aiuto al mio paese. L’ho fatto anche per loro”.
Mentre le sette superpotenze riunite a Hiroshima per il G7 vergano risoluzioni che isolano sempre di più Putin e la Russia e il presidente ucraino è in volo per raggiungere i leader in Giappone, in un rettangolo di terra rossa Russia e Ucraina consumano una battaglia di tattica e nervi che alla fine vede vittoriosa la giovane ucraina. Ci sono tanti modi di combattere una guerra: Anhelina Kalinina, 26 anni, ucraina di una cittadina vicina a Melitopol sventrata dalle bombe russe, e Veronica Kudermetova ieri hanno avuto in sorte di combattere la loro nel Centrale del Foro Italico nella semifinale del torneo femminile. E Dio solo sa cosa è passato nella testa e nei nervi di queste due ragazze che viste così potrebbero essere italiane, francesi o americane nelle quasi tre ore in cui hanno combattuto in campo.
Osservandole quindici dopo quindici, si percepisce che Anhelina è piegata e distratta da altro che non è solo una partita. Non è lo scambio in sé il problema. Sono i momenti-pausa il problema: il lancio di palla nel servizio, i cambi di campo, l’attesa che il ball boy ti lanci la palla. Quante volte in quei momenti Anhelina ha pensato alla casa della sua famiglia a Nova Kakhovca distrutta dalle bombe russe e ai suoi familiari costretti a traslocare a Kiev a casa della figlia. O a quel ragazzo seduto solo nel suo box, Anton Korchevskyi, suo allenatore e marito, potrebbe da un momento all’altro essere richiamato alle armi.
Quanti pensieri che non ci dovevano stare sono invece entrati ieri nel Centrale del Foro Italico pieno per tre quarti nonostante fosse in programma “solo” una semifinale femminile. Anhelina è riuscita a tenere a bada i cattivi pensieri. Un outfit essenziale per lei, pantaloncino e maglietta da uomo perchè “non ho uno sponsor, non posso averlo per via della guerra” racconterà dopo in conferenza stampa.
Abbigliamento invece molto fashion per la russa, logato Emporio Armani e Tatneft, colosso russo che tra le controllate ha pure un’azienda che fornisce pneumatici all’esercito russo, sponsor ingombrante a rischio sanzione per cui la russa deve spesso trovare giustificazioni. Vuota e solitaria la panchina di Anhelina. Ricca e affollata quella di Veronika. “Non ho stretto la mano all’avversaria – ha detto poi Kalinina – perché la Russia ha invaso il mio paese e sgancia bombe ogni giorno e notte sulle nostre città, scuole, case. E le bombe uccidono e distruggono. Adesso io e la mia famiglia, anche i nonni, stiamo tutti a Kiev, vicino all’accademia di tennis gestita dai miei genitori. Solo che abbiamo l’aeroporto a 300 metri e la notte scorsa hanno bombardato anche li. Capite cosa vuol dire la guerra in casa?”. Sala stampa muta.
La russa ha fatto quello che sa fare, picchiare al centro e agli angoli, talvolta scendendo a rete. Tanta forza, tanti sbagli. L’ucraina ha fatto quella che serviva: variare, trovare angoli, cambiare ritmo, graziose palle tagliate alternate a traccianti, smorzate e lob. Chi ha voglia, può cercare similitudini. In fondo anche una partita di tennis è una piccola guerra. E giovedì Anhelina ha ribaltato i pronostici ed è andata in finale. La sua prima finale.
Kalinina non si è sottratta alle domande e ha dato tutte le risposte. Si è emozionata, dentro e fuori dal campo. Veronika è stata più sfuggente: “Siamo qui per giocare a tennis”. “Meet me halfaway”, incontriamoci a metà strada cantano i Black eyed peas nella pause del match. Non si sono incontrate.
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