«Stasera prendo di fronte a voi l’impegno di dedicare tutte le mie energie per trasformare il nostro Paese, per renderlo più forte, più giusto, più umano. Le preoccupazioni non possono portare all’inerzia. Non possiamo rinunciare a cambiare, perché ciò significherebbe abbandonare quelli che il sistema ha già abbandonato e tradire i nostri figli che dovrebbero pagare il prezzo delle nostre rinunce. Ecco perché la riforma delle pensioni verrà attuata dal governo. Perché è un progetto di giustizia e progresso sociale». Nel discorso televisivo dell’ultima sera dell’anno rivolto ai cittadini francesi Emmanuel Macron non le ha mandate a dire. I dossier aperti all’Eliseo sono parecchi, ma il 2020 sarà prima di tutto l’anno della riforma delle pensioni. Una sfida cruciale che conta già una vittima: Jean-Paul Delevoye, l’uomo al quale Macron aveva affidato, due anni fa, la selezione dei neoparlamentari di En Marche e, l’anno scorso, le consultazioni sulle pensioni con i sindacati, ma anche il capro espiatorio costretto alle dimissioni dieci giorni dopo l’inizio degli scioperi a tappeto contro la riforma.

Con queste premesse, se la riforma passerà, sarà per Macron un successo straordinario. In caso contrario, potrebbe essere l’inizio della sua fine. L’opposizione interna lo ha capito e, dal 5 dicembre scorso, cerca di mettere in crisi il governo con una raffica di scioperi quasi ininterrotti: tra i protagonisti ci sono, per esempio, i macchinisti della Sncf, le ferrovie francesi, e i dipendenti della Ratp, che gestisce la mobilità pubblica a Parigi. Così, il Natale in Francia – già provata l’anno scorso dalle agitazioni dei gilet gialli – non è stato segnato soltanto dallo champagne e dalle prelibatezze della tavola, ma anche dal blocco dei servizi pubblici e dei trasporti. Perfino le ballerine dell’Opéra sono scese in strada per protestare, raccogliendo la solidarietà dell’intellighenzia francese che ora accusa l’Esecutivo di fare strame della cultura con il taglio delle pensioni.  In realtà il regime pensionistico francese è una selva oscura di 42 sistemi pensionistici differenti, costruiti su misura per le diverse professioni interessate. Per accedere alla pensione vengono calcolate le annualità sulla base dei trimestri lavorati. Per decidere l’importo viene calcolata la media degli ultimi anni di retribuzione. L’età legale per andare in pensione nel sistema “generale” è di 62 anni.

Tuttavia, i 41 regimi speciali hanno regole differenti: alcuni prevedono la pensione ai 53 (nel caso delle ballerine dell’Opéra l’età per la pensione è 42 anni!). Così strutturato, il sistema risulta iniquo in quanto privilegia alcuni lavoratori: quelli che appartengono a categorie “speciali”, quelli che guadagnano di più negli ultimi anni della propria carriera e i dipendenti pubblici che percepiscono bonus in aggiunta allo stipendio. In questa giungla normativa alcune corporazioni sono favorite fino ai rischi del rapporto clientelare. In più, con l’inteccio dei vari regimi pensionistici può accadere che il singolo pensionato francese riceva in media 2,5 pensioni.  Questo sistema così opaco e confuso crea incomprensione nei cittadini e, soprattutto, nasconde clamorose diseguaglianze di trattamento. La riforma delle pensioni rappresenta dunque per Macron «un progetto di giustizia e progresso sociale perché garantisce l’universalità». C’è poi un altro obiettivo oltre l’equità: utilizzare meglio le risorse disponibili per correggere gli squilibri di sistema ed evitare l’esplosione del debito pubblico.

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