Nella campagna elettorale napoletana la discussione sulla politica continua a prevaricare quella sulle politiche. E così i temi di questi giorni sono l’organizzazione delle coalizioni, la formazione delle liste, il “trasfughismo” del personale politico e i criteri di composizione della futura giunta.

Mentre Antonio Bassolino ha scelto una campagna elettorale “low profile” e tra la gente, tra i due sfidanti principali è Gaetano Manfredi che sembra manifestare le idee “sovrastrutturali” (si può dire ancora?) più nette. In una recente intervista l’ex rettore e ministro fissa un punto di equilibrio tra tecnica e politica che merita di essere ripreso e che andrebbe discusso pubblicamente.

Da un lato Manfredi afferma di non aver paura di essere fagocitato dalla politica napoletana, dall’altro di voler far riferimento a uno “schema Draghi”, cioè a un mix di tecnici e politici, per la composizione della Giunta. Non saremo noi a ritenere le forme della politica indifferenti per la realizzazione dei contenuti (laddove vi siano, beninteso). Il rapporto dei candidati con i partiti è sicuramente un punto dirimente. Manfredi sollecita liste forti per avere un Consiglio comunale autorevole, ma sembra orientato a far valere una “riserva di sindaco” sulla scelta degli assessori: tecnici negli assessorati chiave e politici, entrambi (meglio, anche questi ultimi) competenti. L’elezione diretta del sindaco concede nelle forme e nei fatti un notevole spazio all’eletto alla carica monocratica (il sindaco, nel nostro caso), ma dev’essere chiaro che senza creare un rapporto proficuo con la politica organizzata, per quel poco che è rimasta, non si va lontano.

Si prenda il caso di Luigi de Magistris, “uomo solo al comando” per eccellenza: uno dei difetti più ricorrenti dell’elezione diretta del sindaco, cioè l’instabilità dei componenti della giunte che vengono licenziati a un cenno del capo (ad nutum, in latinorum) e spesso elevati a capri espiatori, con lui è diventato lo sport più praticato in città. Ma il problema maggiore di ogni sindaco non è scrivere una delibera, ma far passare nel Consiglio comunale per uno dei tanti e qualificanti atti politici e di tipo generale che la legge riserva all’assemblea. De Magistris, in dieci anni, ha effettuato undici rimpasti di Giunta facendo alternare una quarantina di assessori. Nonostante la benevolenza del Consiglio, che l’ha spesso – diciamo così – graziato, in questo modo è impossibile dare continuità all’azione amministrativa, mentre si bruciano competenze preziose: penso, tra gli altri, a Marco Esposito, Alberto Lucarelli, Riccardo Realfonzo.

Manfredi sembra molto più consapevole che nel prossimo Consiglio si registrerà un certo ritorno dei partiti (a partire dai suoi due maggiori sponsor, il Partito democratico e i Cinque Stelle) e stabilisce un criterio, non scontato, per cui alcuni assessori – operanti in settori strategici come quelli più connessi al Piano nazionale di ripresa e resilienza – risponderebbero direttamente a lui che li sceglierebbe non solo nella forma ma anche nella sostanza; altri, invece, sarebbero indicati dai partiti. Tuttavia, anche in questo caso, Manfredi ha affermato che farebbe valere un criterio di competenza e, del resto, riprende il nostro appello ai candidati a non guardare l’ombelico ma a servirsi delle migliori energie napoletane disponibili in Italia e all’estero. L’impostazione sembra realistica e ambiziosa. Funzionerebbe?