Conclusione processo diametralmente opposta
Marco Siclari assolto, i giudici smontano teorema accusatorio: si è trattato di “mera suggestione”
Con queste motivazioni finisce il calvario giudiziario dell’ex senatore di Forza Italia: non ci fu nessuno scambio elettorale politico-mafioso
Marco Siclari? Per la Corte d’Appello è “mera suggestione”. Indagato, sbattuto in prima pagina e infine assolto. Nel mezzo, una carriera politica al macero e gli arresti domiciliari all’indomani della conclusione dell’esperienza parlamentare a Palazzo Madama.
La storia si ripete e questa volta è toccato a Marco Siclari, ex senatore di Forza Italia eletto a Reggio Calabria e iscritto della prima ora nelle fila azzurre con un passato da consigliere comunale nella Capitale, finito nell’elenco degli indagati nel blitz “Eyphemos” coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Città dello Stretto. Per sintetizzare l’accusa del reato di scambio elettorale politico-mafioso di febbraio del 2020 bastano poche parole: il politico sarebbe stato appoggiato, nelle elezioni politiche del 2018, dalla cosca Alvaro e in particolare dal presunto boss Domenico Laurendi di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Il fatto non sussiste: le motivazioni
La conclusione del processo è diametralmente opposta rispetto al teorema accusatorio: dopo tre anni e sette mesi dall’inizio del calvario giudiziario, i giudici della Corte d’Appello hanno assolto il dirigente medico perché “il fatto non sussiste”, ribaltando la sentenza di primo grado che lo aveva condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Pochi giorni fa, gli stessi magistrati di secondo grado hanno depositato le motivazioni che hanno ispirato e fatto concludere con la formula assolutoria più ampia. “L’insussistenza del reato appare evidente. Le risultanze probatorie acquisite prestano il fianco a molteplici rilievi, giacché contengono esclusivamente un mero principio di prova che, però, è rimasto confinato a mera suggestione” “Non sussiste alcuna prova dell’effettivo e concreto sostegno elettorale di Domenico Laurendi (e per esso della cosca Alvaro) in favore di Marco Siclari”. Per i giudici nel fascicolo del processo “non vi è alcuna traccia” che il presunto boss “avesse concertato con gli Alvaro la decisione di sostenere Marco Siclari. Inoltre, anche a voler ritenere Laurendi effettivo sostenitore del senatore, non è comunque emerso che il procacciamento di voti fosse avvenuto con metodo mafioso. In buona sostanza – si legge sempre nelle motivazioni della sentenza – non può certo ricavarsi a posteriori la prova dell’accordo illecito sulla base della sola vittoria del Siclari, giacché la stessa è stata determinata da cause del tutto estranee a un presunto patto mafioso”.
L’immunità parlamentare e i domiciliari
Una conclusione al contrario rispetto al capo di imputazione che, a termine della legislatura precedente, aveva determinato l’applicazione della misura cautelare emessa tre anni prima. Ma che non era stata eseguito perché Siclari era senatore e la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari non aveva mai deciso se dare il placet alla richiesta della procura di Reggio Calabria. Non essendo stato candidato alle ultime elezioni politiche, con la fine della legislatura Siclari ha perso “l’immunità parlamentare” per cui l’ordinanza di custodia cautelare è diventata esecutiva.
Le parole di Siclari
Dopo la sentenza di assoluzione, a settembre scorso, Siclari ha commentato: “La giustizia alla fine è arrivata ma il prezzo che ho pagato è troppo alto. Più di tre anni di incubo, dolore e danni incalcolabili che hanno messo in discussione ingiustamente la mia persona e il mio nome. Ringrazio quegli eroi, cioè i magistrati che con grande rispetto per la giustizia e lo stato hanno giudicato in modo indipendente e corretto di fronte alle accuse infondate che mi erano state rivolte. Accuse che la stessa procura generale di Reggio ha contestato sollecitando l’assoluzione perché il fatto non è mai esistito contrariamente alla sentenza di primo grado che mi condannava in abbreviato con ipotetiche accuse. Adesso nessuno potrà restituirmi ciò che mi è stato tolto”.
Mentre il suo legale, l’avvocato Gianluca Tognozzi, in una nota scriveva: “Processo che poteva essere evitato”. Poteva, ma non è stato evitato. Allungando così il lungo elenco di chi, soprattutto a certe latitudini della Penisola, è costretto a fare i conti con delle sentenze che si concludono con una sentenza di assoluzione dopo anni di indagini, misure cautelari, carriere stroncate.
Che restituiscono la libertà, ma non la vita a cui si è stati sottratti.
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