La squalifica
Martina Caironi positiva al doping, rischia di saltare le Paralimpiadi

Un anno di squalifica, è quanto merita secondo la Procura Nazionale Antidoping la campionessa paralimpica Martina Caironi, oro sui 100 metri piani ai giochi di Londra 2012 e e Rio 2016 dove ha conquistato anche l’argento nel salto in lungo. Un anno lontano dalle gare – che significherebbe anche perdere le Paralimpiadi di Tokyo – per aver usato una crema a scopo terapeutico e soprattutto per averlo fatto dopo aver consultato il medico federale. Il deferimento per doping dell’atleta di origini bergamasche alla Seconda Sezione del Tribunale Nazionale Antidoping è arrivato nei giorni scorsi. È stata la stessa Procura a riconoscere la non intenzionalità della velocista e la necessità terapeutica per l’uso del Trofodermin, la crema incriminata. Ma per le rigide norme sul doping c’è ugualmente una responsabilità oggettiva che va punita.
E qui sta il paradosso di una vicenda che comincia alcuni mesi fa. A inizio anno infatti Martina Caironi chiede al medico federale se può utilizzare il Trofodermin, crema di uso comune conosciuta per le qualità cicatrizzanti, per curare un’ulcera al moncone della gamba amputata nel 2007 dopo un incidente stradale. Ulcera che le provoca dolori e le impedisce non solo di allenarsi ma anche di camminare. L’atleta fa questa specifica richiesta perché sulla confezione della crema c’è scritto chiaramente che è a rischio doping, contiene infatti Clostebol Metabolita, una sostanza inserita nella lista degli steroidi anabolizzanti. Il medico le risponde che non è necessaria la Teu (esenzione per fini terapeutici che gli atleti possono richiedere) e che può usare senza problemi la crema se spalmata local- mente e non per lunghi periodi di tempo.
Martina Caironi nel corso del 2019 supera senza problemi diversi test antidoping, nel frattempo però la ferita continua a riaprirsi e l’atleta torna a usare la pomata. Il 17 ottobre, a pochi giorni dai Mondiali di Doha in Qatar, viene sottoposta a un ulteriore controllo a cui risulta positiva, è l’atleta stessa a dichiarare l’uso della pomata, sicura di quanto le era stato detto dal medico. La pena per l’utilizzo di steroidi anabolizzanti prevede una squalifica di quattro anni dalle competizioni sportive. La Procura Nazionale Antidoping, dopo aver ascoltato Martina Caironi e il medico federale coinvolto nella vicenda, per i motivi spiegati precedentemente, ha ridotto la richiesta a uno. Una richiesta comunque considerata abnorme dall’avvocato Giovanni Fontana che difende l’atleta paralimpica: «Stiamo parlando di una ragazza che ha avuto solo la necessità di curarsi e si è fidata delle indicazioni datele da chi era preposto a questo compito. Indicazioni che poi combaciavano con quanto è scritto nel foglietto illustrativo del Trofodermin ovvero che l’utilizzo terapeutico del medicinale non è doping». Per il legale «possiamo dire che non si tratta di un caso di doping ma di un errore formale. Ci conforta il fatto che la procura antidoping abbia riconosciuto l’uso terapeutico del medicinale e non a fini di doping. Questo è già un grande passo in avanti nel dimostrare la correttezza dell’atleta Martina Caironi».
In Italia norme e parametri sono identici per atleti normodotati e disabili. Giusto o sbagliato? Ora toccherà ai giudici del Tribunale Antidoping decidere se punire o meno la velocista paralimpica. Dovranno sicuramente considerare le valutazioni della Procura ma anche le parole di Olivier Niggli, direttore generale della Wada (l’agenzia mondiale antidoping) che proprio sul caso Caironi ha affermato che «molto dipenderà dalle concentrazioni riscontrate dalle analisi». Elementi di riflessione da cui dipende il futuro sportivo di una ragazza che ha trovato nella corsa una forma di riscatto e rilancio ed è diventata un esempio di amore e passione per lo sport.
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