Editoriali
Massimo Bossetti: il DNA ti salverà

Una sentenza definitiva dice che è colpevole. Ma se si potesse ripetere l’esame del dna, come lui ha sempre chiesto e mai ottenuto, la sorte di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per la morte di Yara Gambirasio, potrebbe radicalmente cambiare. Lo ha chiesto, con un’istanza alla procura generale di Brescia, il professor Carlo Taormina, il quale ha ricordato che materiale genetico da esaminare ancora c’è, e precisamente all’ospedale San Raffaele di Milano, come testimoniato in aula da un autorevole genetista, il professor Giorgio Casari.
È singolare la pervicacia con cui nei diversi gradi processuali i giudici si siano rifiutati di ripetere l’esame, tanto quanto caparbia è stata la richiesta da parte dell’imputato. Ma sia l’uno che gli altri sapevano bene che se si fosse in qualche modo scalfita la certezza della prova del dna sarebbe crollato tutto e Bossetti sarebbe stato assolto “per non aver commesso il fatto”.
Ma oggi non è solo, questo ergastolano testardo. Se si andasse a bussare casa per casa, cioè si facesse un referendum sul muratore di Mapello, il 90 per cento dei cittadini giurerebbe sulla sua innocenza e del restante dieci, nove avrebbero dei dubbi e solo l’uno per cento avrebbe la certezza granitica del fatto che Massimo Bossetti abbia assassinato, con modalità singolari, una bambina di 13 anni, Yara Gambirasio. Questo uno per cento comprende un certo numero di giudici togati e popolari che, nei tre gradi di giudizio, hanno condannato Bossetti all’ergastolo.
È un fenomeno che non succede spesso, di vedere l’opinione pubblica così massicciamente convinta che un uomo condannato per un delitto atroce sia innocente. I motivi sono semplici. Prima di tutto non è chiaro il movente. Lo ha detto in aula la stessa Pm Letizia Ruggeri, però contraddetta dai giudici, togati e popolari, convinti invece che Yara sia stata rapita per scopi sessuali. Bisogna tornare con la memoria al 26 novembre del 2010 quando la ragazzina tredicenne sparisce all’improvviso dopo essere uscita dalla palestra. Tutti sono concordi nel dire che Yara, un’adolescente timida che sul cellulare aveva solo sei numeri di telefono, non sarebbe mai e poi mai salita sull’auto di uno sconosciuto. Si deve quindi dedurre che lei conoscesse o fosse amica di un muratore quarantenne? I casi sono due. O loro si conoscevano oppure lui l’ha rapita. Ma neanche le modalità sono state ricostruire in modo convincente dai processi. Come l’avrebbe sequestrata? Agguantandola in corsa sotto la pioggia, sbattendola nel furgone, poi magari tenendola ferma con una mano e guidando con l’altra? Non dimentichiamo che Yara era un’atleta e si sarebbe saputa difendere da un uomo solo (nessuno ha mai detto che Bossetti avesse dei complici), oltre a tutto mingherlino come il muratore.
C’è poi la storia del furgone. C’è stato un episodio strano, durante il processo. In molti ricordiamo quelle immagini diffuse dai carabinieri in cui si vede un furgone bianco (che si suppone essere di Bossetti) fare ossessivamente il girotondo intorno alla palestra, quasi fosse in attesa della preda. In aula un colonnello dei Ris ha dovuto ammettere, un po’ imbarazzato, di aver costruito un videomontaggio ad hoc “per esigenze della stampa”. Quel furgone forse era passato una volta, e non c’è prova che fosse di Bossetti.
Non c’è movente e non è chiara la dinamica dei fatti. La ricostruzione sarebbe più o meno questa: Bossetti rapisce Yara, poi la porta nel campo di Chignolo (dove la ragazza verrà ritrovata morta tre mesi dopo ), fa le sue avances sessuali che vengono respinte, quindi la tramortisce con un colpo in testa, infine si esercita in attività artistico-chirurgiche, incidendole la pelle con una serie di X e di Y. Poi la lascia lì a morire di freddo. Ma Yara non viene stuprata, nessun segno di violenza sessuale c’è sul suo corpo. Strano tipo di pedofilo maniaco sadico e violento (così è descritto in sentenza) questo Bossetti: ha tra le mani l’oggetto del desiderio e lo lascia lì. Poi se ne torna a casa. Ma non ha un alibi preciso e il suo dna viene trovato sui leggins e sugli slip della ragazzina. Viene arrestato il 16 giugno del 2014, quando Yara è morta da tre anni e mezzo.
Sono tante le incongruenze per cui la gente ha difficoltà a credere che Massimo Bossetti abbia ucciso Yara Gambirasio. Si potrebbe poi aggiungere qualche argomento più tecnico-giuridico. Negli Stati Uniti probabilmente un processo così non si sarebbe neanche celebrato. Perché non c’è sempre un nesso di causalità tra la presenza di dna appartenente a Tizio sul corpo di Caio e il fatto che Tizio abbia ucciso Caio. Se cioè c’è stato un contatto tra la vittima e l’imputato (e ammesso che ci sia stato), questo significa necessariamente che la persona accusata sia l’omicida? Questo ragionamento è stato alla base a esempio per l’assoluzione di Raniero Busco, fidanzato di Simonetta Cesaroni.
Che cosa succederà adesso? Massimo Bossetti dal carcere di Bollate continua a gridare la propria innocenza, gli avvocati cercano la via della revisione del processo, il professor Taormina ( “da privato cittadino”, tiene a sottolinearlo) ha presentato l’istanza perché si ripeta l’esame del dna, e l’opinione pubblica per una volta non è neanche divisa. Di Massimo Bossetti si continuerà a parlare, ne siamo certi.
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