La sentenza
Ben venga una nuova cultura...
Matrimonio all’Archivio di Stato di Napoli: il funzionario deve rischiare, altro che “donabbondismo burocratico”
![Matrimonio all’Archivio di Stato di Napoli: il funzionario deve rischiare, altro che “donabbondismo burocratico” Matrimonio all’Archivio di Stato di Napoli: il funzionario deve rischiare, altro che “donabbondismo burocratico”](https://www.ilriformista.it/wp-content/uploads/2024/12/archivio-stato-napoli-1-900x600.webp)
“Or bene, gli disse il bravo all’orecchio, ma in tono solenne di comando, questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”. Il prosieguo è conosciuto. Don Abbondio, da umile vaso di coccio, si adegua all’ordine, con i conseguenti disagi che affliggeranno la coppia manzoniana più iconica del ‘600 italo-ispanico, in un Lombardo-Veneto, a quel tempo non ancora morbosamente ispirato ad un regionalismo differenziato.
Contro il “donabbondismo burocratico”
Il racconto ben si presta ad essere aggiornato al tempo attuale. È degli ultimi giorni, infatti, l’indignazione registrata a Napoli per un matrimonio celebrato festosamente nei saloni del locale Archivio di Stato. I fatti non superano l’ambito cittadino e non sono del tutto controllabili, ma si prestano ad una valutazione che consente di esplorare l’Universale, partendo dal particolare.
Nessun dubbio che eventuali danni siano risarciti, così come gli abusi, puniti. Va, tuttavia, affermato che l’utilizzo dei luoghi storici ed artistici è auspicabile, legittimo, qualificante un amministratore pubblico, scevro – finalmente – da ogni patologico “donabbondismo burocratico”. Merita quindi un plauso la responsabile dell’Archivio di Napoli – Candida nel nome e nella adamantina fama – laddove, rischiando, ha concesso l’utilizzo delle sale. Perché il punto è proprio questo.
Matrimonio Archivio di Stato: il funzionario deve rischiare
Il funzionario, come il manager industriale, deve rischiare. L’alea mercantile è, infatti, ormai parte integrante dei suoi compiti. Glielo chiede la legge sul procedimento amministrativo (L. 7 agosto 1990 n. 241) ove afferma (art. 1, c.1) che “L’attività amministrativa è retta da criteri di economicità, di efficacia”. Vale a dire che è legittima un’azione amministrativa non solo formalmente in regola; ma che sia anche “economica” ovvero capace, al contempo, di produrre utilità concreta: reddito, entrate, profitto, non solo spesa. Lo prescrive il Codice dei beni culturali (Dlgs. 22 gennaio 2004, n. 42) nella parte in cui impone la valorizzazione come missione della gestione degli stessi ed afferma: (’art. 1): “La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e a promuovere lo sviluppo della cultura”.
Occorre dunque una nuova cultura dei beni culturali impostata sul concetto guida di valorizzazione, di cui proprio l’attuale direttore generale degli Archivi del Ministero è fra i più fini esegeti teorici. Tanto si traduce nella esigenza – rischiosa, ripetesi – di evitare che luoghi ed oggetti di pregio siano penalizzati da gestioni antieconomiche, destinati alla rovina, stante i costi accentuati della loro manutenzione, cui vanno, per contro, destinati tutti i possibili proventi ricavabili. Ed i bravi? Anche loro certo, sono personaggi attivi. Devono trasformarsi in custodi, garanti della tutela dei predetti beni: nel rinnovato contesto scenico, devono garantire che la valorizzazione sia “economizzata” nel rispetto della completa e minuziosa tutela dei beni stessi.
© Riproduzione riservata