La premier a tutto campo
Meloni, lezione alla sinistra in tv: sferza sindacati, opposizioni (e giudici), rivendica riforme e successi: “Vado lontano”
«Quando la sinistra perde il potere, perde le staffe e diventa intollerante, una sinistra che non tollera l’idea che le altre idee abbiano una maggioranza». «Gli italiani – replica Meloni alla sinistra da piazza, Fratoianni in testa – l’Italia l’hanno già capovolta, l’hanno capovolta il 25 settembre del 2022, mandando a casa la sinistra dopo dieci anni». Giorgia Meloni non ha fama di essere utilizzatrice di bizantinismi e voli pindarici, e anche da Nicola Porro a Quarta Repubblica non si smentisce, e dà ampio spazio al Meloni pensiero, su tutto ciò che avvolge l’attualità politica nel nostro paese. Quindi non potevano di certo mancare le frecciatine alla Cgil e al segretario Landini.
Meloni fa notare – numeri alla mano – come lo sciopero generale sia stato un fallimento di partecipazione, motivato da ragioni ideologiche più che da legittime battaglie sindacali. Facendo intendere a pubblico e conduttore che sotto sotto anche lei giudica l’attivismo tardo-rivoluzionario del segretario generale della Cgil, un po’ troppo politico e dunque come un trampolino chissà per una discesa in campo a sinistra. Eventualità su cui abbiamo già ampiamente scritto in queste colonne nei giorni scorsi. Meloni rivendica i suoi risultati sul mondo del lavoro, sui contratti a tempo indeterminato e sull’occupazione femminile, rinfacciando al sindacato di essere ormai distante dai lavoratori e la bassa adesione allo sciopero ne è la dimostrazione. Anche sui toni utilizzati nelle manifestazioni la Premier non ha dubbi e li etichetta come «irresponsabili».
Ma quelli sullo sciopero non sono gli unici dardi scagliati contro la Cgil, anzi quando il tema del dibattito è la crisi di Stellantis e le dimissioni dell’amministratore delegato Tavares, Meloni defi nisce «afona» la voce del sindacato italiano rispetto alle «urla» che i sindacati francesi e statunitensi hanno messe in campo per contestare il disastroso operato del manager. Altro tema sul quale il Presidente del Consiglio ha ribadito la sua determinata volontà di non cedere è il piano dei centri per migranti in Albania, progetto che defi nisce «innovativo», e non casualmente modello di quasi tutti i paesi europei che si trovano oggi ad affrontare l’emergenza migratoria. Incalzata da Nicola Porro rincara la dose: «Sapevo che ci sarebbe stata un’opposizione ampia».
Per “ampia”, la Presidente intende quei «vari ambienti» che non sarebbero d’accordo con l’operato dell’esecutivo. Convitato di pietra era quella parte della “magistratura” che abitualmente sconfi na dai paletti costituzionali per entrare nel merito di vicende politiche, salvo poi trincerarsi dietro l’indipendenza della stessa, quando qualcuno osa denunciarne le pericolose e continuate scorribande in campo politico. Fa bene Giorgia Meloni, come Premier e per la sua storia ad affermare di non voler partecipare alla lotta manichea tra politica e magistrati, sostenendo di “avere rispetto per i magistrati”, soprattutto per quella maggioranza che fa il proprio dovere anche in condizioni diffi cili, ma poi c’è una parte della magistratura che invece politica ne fa, e la fa dal piedistallo dell’autonomia costituzionalmente garantita con affaccio a sinistra.
Gli stessi che come “Magistratura Democratica” si stanno stracciando le vesti contro la riforma del Ministro Nordio, un ex magistrato che ben conosce limiti e storture di un potere senza controllo che dal 1992 ha pensato di potersi sostituire alla politica, utilizzando strumenti giudiziari per perseguire fi nalità politiche. Non bisogna essere né berlusconiani né tantomeno craxiani d’antan per mettere in nuce queste storture che hanno assunto sempre maggiori incrostazioni e che hanno fi nito per assottigliare la fi ducia che i cittadini hanno non solo nella giustizia ma in chi l’amministra. Per questo risultano eccessivamente esagitate le parole del segretario di Md che in risposta alle parole del Ministro Nordio, accusa il guardasigilli di voler piegare con la separazione delle carriere il pubblico ministero al potere politico. Sorge spontaneo più di qualche dubbio sulle garanzie che un potere inquisitorio incontrollato e strettamente connesso a quello giudicante possa fornire a chi si trova ad aver a che fare con il sistema giudiziario.
Anche la fervente opposizione alla riforma sdoppiamento del Csm con connesso sorteggio per i membri a poco a che fare con «L’indipendenza della magistratura», di più con i sistemi di potere interni alle toghe, quel sistema correntizio che oggi teme per la prima volta di perdere quel potere costruito a scapito del sistema politico. Questo mondo pensiamo faccia parte di quell’ampia opposizione di cui parlava la Premier, un micro mondo che si ostina a difendere uno status quo che riguarda pochi e fa del male prima alla magistratura e poi all’Italia intera. La stessa vicenda dei centri per migranti in Albania ne è la plastica dimostrazione. Quando la giustizia diventa strumento di “qualcuno” o per “qualcosa”, allora il dovere della politica è quello di intervenire per garantire il rispetto di un principio che non è di destra e non è di sinistra, ma di tutti, il diritto ad una giustizia, giusta, funzionante e imparziale. Per troppo tempo in questo paese si è vista operare ad hoc una giustizia con una singolare bilancia, una bilancia con un piatto solo.
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