La sentenza
Il chiarimento
Migranti in Albania, il giudice può disapplicare il decreto sui paesi sicuri: la Cassazione chiarisce il modus operandi sulle richieste di asilo
Il magistrato può valutare se l’elenco rispetta la normativa europea o nazionale
Con la sentenza emessa in data 19 dicembre 2024 (nr. 33398), la Corte di Cassazione si pronuncia non tanto – si badi bene! – sul concetto di paese sicuro ai fini della richiesta di asilo, quanto sulla perimetrazione del potere-dovere del giudice ordinario in tali fattispecie. L’osservazione non è di breve momento, in quanto si tratta di un quadro molto tecnico che non consente a nessuna parte politica – nella crescente polemica immigratoria – di appropriarsi del suo contenuto, affermandone la pertinenza a una certa tesi o ad altra.
Vale – per comprendere il contesto – soffermarsi sul meccanismo processuale che ha innescato la decisione emessa, ovvero un rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis CPC del Tribunale di Roma, che chiedeva alla Corte Suprema (C. S.) di definire l’ambito e l’ampiezza del sindacato del giudice sulla designazione di un paese di origine come sicuro per effetto del decreto del ministro degli Affari esteri del maggio 2024. Rinvio pregiudiziale, dall’aurea finalità di far emergere – da subito – un indirizzo unitario che eviterà ab origine orientamenti ondivaghi, dannosi alla certezza del diritto.
Su questa premessa, la Cassazione separa – secondo una precisa linea temporale – i termini della vicenda interpretativa su cui è chiamata a fare chiarezza, atteso che la penetrante nozione di “paese sicuro” è stata prima resa a livello sub legislativo e ora con legge ordinaria. Cambiano quindi in radice le regole di ingaggio, per così dire, del giudice ordinario, che – per definizione indiscutibile – non può disapplicare la legge ordinaria, sussistendo altri rimedi ove la ritenga (secondo la sua coscienza) iniqua: qui si richiama, in primis, l’incidente di costituzionalità sollevabile innanzi alla Corte Costituzionale.
Venendo al cuore della sentenza n. 33398/2024, rispetto al provvedimento sub legislativo, la Cassazione puntualizza una serie di concetti tutti di rilievo. Il provvedimento ministeriale – che definisce l’indice di sicurezza attribuibile a una nazione – non è un atto politico e, pertanto, non si giova del regime di insindacabilità propria delle espressioni della funzione politica. È un atto amministrativo: come tale non è annullabile né revocabile dal giudice ordinario, semplicemente (si fa per dire…) disapplicabile nel caso concreto (“incidenter tantum”) ove si manifesti la sua palese illogicità. Si tratta dunque del normale rapporto processuale fra giudice ordinario e manifestazioni della pubblica amministrazione, tanto (e il dato è temporalmente significativo) che la C.S. richiama la norma basica in materia, contenuta nell’allegato E della legge n. 2248 del 1865.
Per la Corte, in sintesi finale, nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158 e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, il giudice ordinario – se è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di un richiedente proveniente da un paese designato come sicuro – può valutare la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione. Ed eventualmente può disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri, allorché – precisa testualmente la sentenza – “la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale”.
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