Morì perché lavorava a contatto con l’amianto, e se è vero che la vita non ha un prezzo e che nessuna cifra può lenire il dolore di chi perde un caro, è anche vero che c’è stata una sentenza storica e un sassolino gettato nello stagno, per quanto piccolo, smuove comunque l’acqua. Il giudice de lavoro del Tribunale di Torre Annunziata ha condannato, in solido tra di loro, Fincantieri spa e Sait spa al risarcimento di 1 milione di euro per il decesso dell’operaio Angelo T. morto il 5 marzo 2016 per mesotelioma da esposizione alle fibre di amianto.

Lo rende noto l’Osservatorio nazionale amianto (Ona) il cui presidente, l’avvocato Ezio Bonanni, parla soddisfatto di «sentenza storica per i lavoratori che sono stati negli anni a contatto con la fibra killer nella cantieristica navale». In un primo momento, ricostruisce la vicenda l’Ona, «l’Inps aveva riconosciuto soltanto 30mila euro a titolo di rendita indennitaria. Il giudice Dionigio Verasani, invece, ha condannato al risarcimento entrambe le aziende per le quali ha lavorato l’ex dipendente, che ha ritenuto responsabili in solido per il decesso dell’uomo».

Una storia simile a tante altre, purtroppo, quella di Angelo di Castellammare di Stabia, che ha lavorato tra il 1963 al 1995 per un’azienda, la Sait, alla quale la Fincantieri si rivolgeva spesso per impegnarne gli operai. L’uomo ha svolto mansioni di manovale fino al 1966, pittore per due anni e poi coibentatore, sempre a contatto diretto con le polveri di amianto. Nella sentenza, spiega Ona, «si legge che l’ambiente di lavoro era al chiuso, all’interno dell’unità navale, e privo di aspiratori localizzati delle polveri e senza ricambio di aria. Locali chiusi, come la sala macchine, presso i quali trascorreva l’intera giornata lavorativa, gomito a gomito anche con altri colleghi.

Le attività che svolgeva determinavano aerodispersione di polveri e fibre di amianto, che rimanevano liberate nell’aria. Inoltre è stato dimostrato, anche grazie a numerose testimonianze di altri operai che lo hanno affiancato negli anni, che il lavoro veniva svolto sempre senza strumenti di prevenzione tecnica e protezione individuale. In particolare. sottolinea il giudice, fu privato di maschere protettive che potessero in qualche modo evitare, ovvero diminuire, l’inalazione di polveri e fibre di amianto». Esposizione, sottolinea l’Osservatorio nazionale amianto, confermata anche dal dr. Roberto Ficuciello, specialista in medicina legale e delle assicurazioni, che ha riconosciuto il nesso di causalità tra la patologia riscontrata e il lavoro svolto dall’ex dipendente.

Ona sottolinea che «purtroppo il numero dei casi di mesotelioma e di altri tumori dell’amianto sono in continuo, crescente, aumento nella regione Campania, come nel resto d’Italia provocando più di 7mila decessi». Ed è per questo che l’Ona sta contribuendo a realizzare la mappatura con l’app amianto e già da tempo ha istituito, oltre quella legale, un servizio di assistenza sanitaria per coloro che hanno ricevuto la diagnosi di mesotelioma.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.