L'intervista
Murubutu, professore e rapper che stimola gli alunni a studiare con le sue canzoni: “I ragazzi vogliono uscire dalla superficialità”
“I giovani tendono a cercare contenuti più leggeri, ma a volte chiedono la complessità e il contenuto”
Alessio Mariani, in arte Murubutu, professore di storia e filosofia, part-time. Il resto del tempo, quando non è in aula, lo trascorre sui palchi come rapper. Padre di due figli, «il più grande, l’altra domenica, è venuto con me a votare per la prima volta alle regionali in Emilia». Per chi? «Non posso dire di lui, ma io ho votato a sinistra, come sempre». Oltre a questo, Murubutu studia e scrive continuamente. Le due cose sono interconnesse perché, da quasi due decenni, quello che scrive in musica è ispirato da ciò che studia.
Come accade?
«La scuola mi costringe a studiare per preparare le lezioni, e così le intuizioni e le ispirazioni confluiscono nel rap. A volte mi ispirano misteri e curiosità. Di recente, per esempio, ho fatto un album in cui canto “L’armata perduta del Re Cambise”, un disastro militare per l’impero persiano durante l’occupazione militare dell’Egitto, sotto la guida di Cambise II, spazzata via da un vento ciclico del Sahara. Una missione archeologica del 2000 ha scoperto reperti che potrebbero confermare quella storia leggendaria, narrata senza troppe certezze da Erodoto (Li travolse e volse all’alba/ No, non lo videro/ No, non lo udirono/ Lui li raggiunse in un soffio ogni corpo sparì)».
La ispira soltanto la storia?
«No, le ispirazioni sono multidisciplinari, da Calvino a Dante, fino a un pezzo molto divertente e provocatorio di qualche anno fa sulle figure retoriche, “L’armata delle tecniche”, una sorta di sfida a un avversario immaginario con cui, però, si finisce per imparare davvero le figure retoriche: iperbole, antifrasi, litote, zeugma».
Magari stimola i ragazzi anche a studiare…
«Lo lascerei dire a loro. Di certo, però, tanti mi scrivono per dirmi che grazie alle canzoni hanno preso un bel voto all’interrogazione. Magari è un’esagerazione, ma a me basta sapere che mi hanno ascoltato con interesse e il mio spunto li ha portati a studiare con più curiosità. Devo dire che anche tanti colleghi mi testimoniano l’utilizzo delle canzoni in aula, così come dei libri illustrati che ho realizzato, uno dei quali su Dante».
Classe 1975, non si può dire che appartenga alla “nuova scena rap”. È vecchia la musica di Murubutu per i suoi studenti?
«Per i miei studenti è vecchio anche Salmo (classe 1984). Oggi l’industria sta speculando sulla musica rap e sul suo consumo diffuso, perciò brucia artisti in continuazione. Consideri che ho cominciato all’inizio degli anni ‘90».
Allora spopolavano gli Articolo 31…
«Ma c’era anche di meglio, molto meglio».
Cosa?
«I nostri riferimenti erano gli Assalti frontali, gli Onda Rossa Posse. Musica piena di contenuti politici ed esistenziali; quella degli Articoli 31 era musica di intrattenimento».
Anche nel rap che ascoltano i ragazzi di oggi sembrano prevalere tanti stereotipi…
«È vero, i ragazzi tendono a cercare contenuti più superficiali, ma a volte loro stessi, saturi di superficialità, cominciano a cercare complessità e contenuto. Guardi, i giovani vogliono uscire dalla superficialità, magari anche in modo estemporaneo, ma lo vogliono. Del resto, non vedo per forza una contrapposizione tra mainstream e underground. Quando un genere acquisisce tanta visibilità, l’underground ne trae guadagno perché anche su di lui ricade più attenzione».
Eppure questi rapper, per temi e situazioni, sembrano spesso tutti uguali. Persino Checco Zalone ha ridicolizzato il genere con la canzone “Poco ricco”. L’ha ascoltata?
«Sì, e la trovo molto efficace perché prende in giro una caratteristica diffusa del rap: l’ostentazione dell’apparire e l’idea che la ricchezza economica equivalga al valore artistico. Non è il guadagno a stabilire la qualità».
A proposito, c’è spazio per una funziona educativa nel rap? Per l’educazione sentimentale, ad esempio?
«Il rap in realtà ha una grande potenzialità ma pochi riescono a sfruttarla, anche se ci sono eccezioni, come Caparezza. Io stesso, nel mio piccolo, cerco di proporre contenuti che stimolino una riflessione e un pensiero complesso».
Una sua canzone che prova a farlo?
«Forse “Storia di Laura”, contenuta nell’album “Gli ammutinati del Bouncin’”».
A questo punto mi incuriosiscono i suoi riferimenti culturali. Partiamo dalla letteratura: chi sono i suoi “imprescindibili” in letteratura?
«Émile Zola, Gabriel García Márquez, Italo Calvino».
I filosofi?
«Immanuel Kant, Max Stirner (un filosofo molto acuto che ha riflettuto molto sul valore dell’individuo rispetto alle masse), Jean-Paul Sartre».
Per il cinema?
«Jean-Pierre Jeunet, regista di “Una lunga domenica di passione” e “Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet”. Mi piace il suo surrealismo poetico».
Nella scena rap, invece, chi lo ha formato di più?
«Un rapper non più in attività, Lou X (Luigi Martelli), ma devo tanto anche a Method Man e a Beanie Sigel».
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