Accerchiato, insultato, picchiato. Il tutto mentre, in sella allo scooter della figlia, consegnava cibo ai clienti per guadagnare una manciata di euro. Protagonista della vicenda, immortalata da un residente in Calata Capodichino e immediatamente divenuta virale sul web, è Gianni Lanciato, il 52enne rider napoletano assalito da sei persone domenica sera. Per aiutarlo si sono mobilitate parte della politica, a cominciare dal consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli che l’ha accompagnato in questura, e della società civile, incluso il calciatore laziale Mohamed Fares che ha offerto 2mila e 500 euro per far sì che Lanciato potesse acquistare uno scooter nuovo. Non ne avrà bisogno, visto che la polizia ha recuperato il mezzo e individuato i presunti responsabili dell’episodio.

Quale fotografia ci restituisce la vicenda di cui il 52enne è stato protagonista? Quella di una città in cui la criminalità troppo spesso spadroneggia, certo. Ma anche quella di una comunità capace di indignarsi davanti alle ingiustizie e di offrire aiuto a chi si trova in difficoltà. Ciò che non deve passare inosservato, però, è il contesto in cui la rapina ai danni di Lanciato è stata messa a segno. Per comprenderlo occorre riflettere sul profilo della vittima: un 52enne che fino a cinque anni fa ha lavorato come macellaio in un grande supermercato, prima di sperimentare sulla propria pelle il dramma della crisi economica e dei conseguenti licenziamenti. A quel punto Lanciato ha deciso di diventare un rider, cioè un fattorino addetto alla consegna di cibo a domicilio. Il che significa spesso essere pagati a cottimo, guadagnare pochi euro a fronte di un impegno di diverse ore al giorno, non avere garanzie solide per quanto riguarda malattia, ferie e contributi. Senza dimenticare la piattaforma punitiva, cioè quel meccanismo che sanziona il rider che rifiuti una consegna trattenendo una parte del suo guadagno o riducendo le chiamate e, per questa strada, le possibilità di guadagno.

Alcuni hanno parlato di nuova schiavitù, altri hanno paragonato il lavoro dei fattorini al caporalato, altri ancora hanno tentato di accendere i riflettori sulle condizioni di lavoro di persone come Gianni che domenica sera, dopo essere stato aggredito, è salito a bordo di un’automobile e ha continuato a effettuare consegne prima di vedersi offrire un posto in una macelleria di Ottaviano. Tutto ciò dimostra come, a Napoli come nel resto d’Italia, sempre più persone siano costrette a lavorare in condizioni improponibili pur di non cedere alle lusinghe della malavita che, soprattutto in periodi di crisi, può rappresentare una fonte di occupazione e di guadagno. E le prospettive per il capoluogo campano non sono rosee, se si pensa che il Covid ha travolto il fragile modello economico basato sull’attività ricettiva e sulla ristorazione. I politici di casa nostra, intanto, continuano a discettare di candidature vere o presunte (come quella di Catello Maresca a sindaco di Napoli o di Luigi de Magistris a governatore della Calabria) e di alleanze più o meno plausibili. Nessuno, però, tenta di immaginare la Napoli del futuro, magari dotata di un modello economico legale, sostenibile e inclusivo. La cecità di certa classe dirigente: ecco il virus più preoccupante.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.