Dopo lo schiaffo dell’Europeo, è passato sotto silenzio che la nazionale di calcio olimpica non si è più qualificata da quattro edizioni. La nazionale maggiore non si è qualificata ai mondiali di calcio in Russia e in Qatar, ed è stata eliminata al primo turno in Sudafrica e in Brasile. Né va meglio alla nazionale femminile, che su nove mondiali è riuscita qualificarsi a quattro e non si è mai qualificata (otto edizioni da Atlanta 1996) alle Olimpiadi. Una storia contrassegnata da commissariamenti, risse e dimissioni di Ct e di presidenti della Figc – ma non dell’attuale. Si torna perennemente a parlare dei vivai dei giovani, dopo il decreto “Crescita” per agevolare fiscalmente l’importazione di calciatori stranieri. Poi arriva il decreto del governo per la creazione di una commissione di esperti, nominata per verificare i bilanci delle società di serie A, B e C. Ed ecco l’emendamento Mulè per far contare di più la Lega di Serie A nella Fgci.

I dati ci sono e da tempo, il fatto è che non si fa nulla per limitare il disastro. La perdita aggregata 2007-2022 della serie A è di 5 miliardi e 443 milioni, quella della serie B nello stesso periodo un miliardo e 182 milioni, e quella della serie C un miliardo e 53 milioni. Federico Mussi della PwC dichiara: “L’indebitamento complessivo del calcio professionistico italiano nel 2021-2022 ha superato la soglia dei 5,6 miliardi di euro; il patrimonio netto a livello aggregato si attesta ad un valore pari a 440 milioni di euro, con diverse società che hanno dovuto intervenire con significativi aumenti di capitale (3,3 miliardi nel periodo 2012-2021, ndr) per ripianare le perdite consuntivate; un indice di liquidità (rapporto tra attività e passività a breve termine) che è mediamente pari a 0.5, il che vuol dire scarsa possibilità di fare investimenti”.

Si è continuato a girare la testa dall’altra parte, di fatto assolvendo chi presentava plusvalenze fittizie, pagamenti non iscritti a bilancio, false comunicazioni sociali, disavanzi sempre più grandi. E intanto in Europa va avanti il processo di acquisto delle società calcistiche da parte di fondi finanziari, così che nella Premier League (dati 2022-2023) le proprietà straniere sono 16 su 20 club, in serie A 7 su 20: americani, sauditi, emiratini, qatarini, pochi cinesi e scomparsi gli oligarchi russi. Il calcio professionistico è sempre stato dominato dal potere dei soldi, ma oggi ancor di più si registra uno “squilibrio competitivo” sempre più accentuato, nei campionati e nei tornei europei. Ha senso fare le gare tra una Ferrari e una Cinquecento? E come si fa a giudicare un allenatore, se allena solo squadre di supercampioni, con stratosferici ingaggi ?

Non esiste alcun sistema di equilibrio che protegga in un sistema competitivo le squadre più deboli. E che senso ha il “calcio mercato” aperto ancora a campionato iniziato? E quanto incassano i procuratori ogni anno? Dal 1992, quando è nata la Premier League che ha rivoluzionato il mercato con i diritti televisivi, le sponsorizzazioni, la pubblicità e il merchandising, nella serie A in 32 edizioni lo scudetto è stato vinto per 28 volte da tre squadre (Juventus, Milan e Inter), che rappresentano anche un terzo del monte ingaggi complessivo della serie A: la media degli ingaggi della squadra più titolata è nove volte quello di una società del Sud. Anche in Coppa Italia tre squadre (Juventus, Inter e Lazio) hanno vinto 19 edizioni su 32, il 60% dei trofei. E in Premier League, Liga, Bundesliga, Ligue 1, esiste uno squilibrio competitivo, fortissimo. Nella Nba americana, dal 1992 ad oggi, sono 13 su 30 i vincitori e i finalisti sono 17 su 30: vi è un maggior equilibrio competitivo.

Cosa che non c’è per esempio nella Champions League, dove solo 14 squadre su 67 partecipanti (in media) hanno vinto la Coppa: e i partecipanti alla finale sono stati 18 su 67. In Europa League ci sono stati 20 vincitori e 25 finalisti in 32 edizioni, con una media di 73 squadre partecipanti. Occorre stabilire in Italia e in Europa un “tetto salariale” massimo e minimo di squadra, rapportato alla media delle entrate di tutti i club, che consenta un confronto più equilibrato tra le squadre, altrimenti raramente Davide può sconfiggere Golia. Nella Nba la media dei salari è stata in media pari al 46%-49% delle entrate e la regola della “Luxury Tax” sancisce che le squadre che superano il tetto salariale di una certa somma di denaro siano obbligate a pagare alla lega il corrispondente di questa somma, che verrà poi distribuito dalla lega stessa alle squadre che non lo superano. Se si vuole rilanciare il calcio italiano, la prima cosa da fare è quella di sostituire alle chiacchiere i fatti: in primo luogo al pubblico di tutta Italia deve essere data la certezza che ci sia per davvero un equilibrio competitivo.