Istituzione di una riserva nella zona del golfo destinata alla tutela e all’osservazione di delfini e balene (Whale-watching). Non manca un accenno alla riqualificazione della “identità culturale” di Taranto e alla, ancora una volta, riqualificazione professionale di circa 500 lavoratori che dovrebbero lavorare per la società turca Yilport (che ha già stipulato un contratto con la cinese Cosco) per la gestione del molo polisettoriale. Insomma, l’immagine sembra essere quella di una città “squalificata” (ma da chi?) ora da “riqualificare”. Infine, tra le intenzioni del decreto “Cantiere Taranto” la immancabile “green mobility” e la “mobilità dolce da realizzare lungo linee ferroviarie dismesse”. Il progetto impegna alcuni ministeri, per lo meno quelli dell’Istruzione, Difesa, Beni culturali, Economia, la Regione Puglia, il Comune di Taranto.

La caratteristica di tali provvedimenti sembra essere la temporaneità. Sfogliando ciò che della bozza è disponibile emerge il carattere temporaneo di molte iniziative. Il decreto “Cantiere Taranto” è la materializzazione di ciò che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad inizio dicembre aveva promesso agli abitanti “Noi vogliamo restituire alla comunità tarantina un ristoro”. Un ristoro. Già! Sapendo che la vera questione è quella che riguarda il futuro incerto della ex Ilva: il vero, sporco e maledetto motore dell’economia di Taranto e dintorni. Quello della città dei due mari sembrerebbe essere un Natale scarsamente ristorato dal Governo.