L'allarme
Dramma aziende: imprenditori in balia delle procure

Faccenda ex Ilva: maestra di vita. A chi spetta la conduzione dell’impresa? Al Palazzo di Giustizia, agli avvocati o ai manager? La politica deve sottomettersi alla giustizia? La vicenda della ex Ilva è ormai un continuo ed ininterrotto bollettino di guerra, una cascata di istanze, perizie, giudici monocratici e non, ordini, pareri, proroghe, pubblico ministero e commissari senza dimenticare il custode giudiziario e il responso definitivo. Il calvario dell’acciaieria di Taranto è puntualmente ben descritto dal sito corriereditaranto.it. Lì si trova tutto: documenti, approfondimenti, cronaca e commenti. Con grande pazienza i giornalisti locali cercano di diffondere la drammatica storia, ma spesso non è facile spiegare ai navigatori della rete e ai colleghi giornalisti la gigantesca ragnatela giuridica che avviluppa l’ex Ilva. Noi non ci proviamo: il risultato sarebbe inconcludente, parziale, noioso o così inesatto da diventare passibile di querela. Quindi passiamo la parola a chi da anni si occupa della questione, tra le tante pagine a disposizione del citato sito ne abbiamo scelta una pubblicata ieri: «Qualora la proroga non venisse accordata dal giudice Maccagnano, Ilva in AS, per non far scattare di nuovo il sequestro senza facoltà d’uso dell’altoforno 2, dovrà nuovamente ricorrere al Tribunale del Riesame.
LEGGI ANCHE – Il Sud in agonia sotto l’attacco di mafia, giornali e PM
Potrebbe infatti ripetersi ciò che accadde a fine luglio, quando con un’ordinanza di 13 pagine il giudice Maccagnano rigettò l’istanza presentata dai Commissari Straordinari di Ilva in A.S., in cui si chiedeva la possibilità di effettuare i lavori di messa in sicurezza dell’altoforno 2, dopo l’ordine di spegnimento del pm De Luca dalla Procura di Taranto dello scorso 9 luglio. Diniego che arrivò nonostante pochi giorni prima, il 23 luglio, la stessa Procura espresse parere favorevole all’accoglimento dell’istanza “di dilazione temporale e facoltà d’uso per un periodo non superiore a 120 giorni”, espressamente prendendo “atto del positivo proposito di Ilva di procedere conformemente alle prescrizioni indicate dal custode, tenuto conto del periodo feriale incombente con numerose maestranze in ferie e aziende chiuse e considerando che l’analisi di rischio indicata dal custode non può essere istantanea”». Ed allora la via da percorrere per salvare il salvabile così già difficile si trasforma in un sentiero in salita, ghiacciato, disseminato di buche e trabocchetti, così impervio dove il Palazzo di Giustizia rischia di diventare il punto di riferimento e l’arbitro. Quello dell’ex Ilva è un caso eclatante, dai risvolti tragici che fa notizia, ma sicuramente non è una rarità. Quante imprese si trovano a combattere con un sistema giudiziario incerto, lento, costoso, che deprime la progettualità e la visione imprenditoriale? La questione è così banale quanto grave: nel fare impresa il Palazzo di Giustizia è diventato uno degli attori imprescindibili del sistema economico.
© Riproduzione riservata