A chi ha affidato le proprie – ingenti – risorse economiche il Consiglio superiore della magistratura? Alla Banca popolare di Bari. L’istituto di credito pugliese salvato dal fallimento grazie ad uno stanziamento urgente di 900 milioni di euro deciso domenica scorsa dal governo. Per la cronaca, la Bpb ha anche uno sportello all’interno di  Palazzo dei Marescialli e, sembra, in questo caso la privacy è d’obbligo, abbia pure stipulato condizioni estremamente vantaggiose per i signori magistrati in servizio al Csm.

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La vicenda, considerata la disastrata condizione patrimoniale della Bpb, nota a tutti da anni, ha semplicemente dell’incredibile. Soprattutto se si considera la velocità con cui il Csm, senza alcun processo, ha costretto alle dimissioni cinque togati macchiatisi della “gravissima” colpa di essere andati a cena con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti, insieme all’ex presidente dell’Anm Luca Palamara.  Il Csm, in quanto organo di rilevanza costituzionale, non è assoggettato per legge alla tesoreria unica.  Essendo in regime di “autonomia finanziaria” si avvale, dunque, di un  istituto di credito privato.

Che fra i tanti istituti di credito della Penisola la Bpb fosse uno di quelli messi peggio, però, non è una novità di questi giorni. Nel 2010, infatti, la Banca d’Italia aveva evidenziato, a seguito di ispezioni, «carenze nell’organizzazione e nei controlli interni sul credito». Nel 2014, l’acquisto della traballante Cassa di risparmio di Teramo (Tercas), con la partecipazione per 330 milioni del Fondo interbancario di tutela dei depositi, al quale si oppose la Commissione europea ritenendolo un aiuto di Stato, aveva aggravato la situazione. Il 2015 segna l’inizio della fine: le azioni della banca pugliese crollano, suscitando la rabbia dei soci. Nel 2016 altra ispezione della Banca d’Italia che rileva «significativi ritardi rispetto agli obiettivi prefissati» e, nuovamente, «l’esigenza di rafforzamento nel sistema dei controlli sui crediti». Nel 2017 scatta l’ultimatum di via Nazionale: urge un aumento di capitale per impedire il baratro. Il 2018 si chiude con un rosso record per il sistema bancario italiano. Il buco nella casse della Bpb ammonta ad oltre 430 milioni.

Lo scorso giugno, infine, l’ennesima visita degli ispettori della Banca d’Italia con annessa stroncatura. Si evidenzia, scrivono gli uomini di Ignazio Visco, «l’incapacità della governance di adottare le misure correttive per riequilibrare la situazione patrimoniale. Le gravi perdite portano i requisiti prudenziali di Vigilanza al di sotto dei limiti regolamentari». Da lì il commissariamento.

Ma come se non bastasse questo quadro di “mala gestio” finanziaria, che avrebbe suggerito maggiore prudenza da parte del Csm nel continuare ad avvalersi dell’istituto di credito pugliese per gestire le proprie risorse, c’è anche il risvolto penale. Nel 2016 la Procura di Bari ha aperto un fascicolo per associazione a delinquere, truffa, ostacolo alla vigilanza, false dichiarazioni in prospetto, nei confronti dei vertici della Bpb. Fra gli indagati, il suo presidente Marco Jacobini e l’amministratore delegato Vincenzo De Bustis.

La scorsa estate, il presidente De Bustis era stato sostituito da Gianvito Gianelli, un professore la cui moglie è Isabella Ginefra, sostituto procuratore a Bari fino al mese di settembre del 2018, prima di essere nominata procuratore a Larino (CB). Nomina poi annullata questo agosto dal Tar del Lazio.