Il 'mistero' di ItsArt
Netflix italiana, il paradosso di Franceschini che dimentica RaiPlay e sceglie i privati di Chili

Si chiama ItsArt e vorrebbe diventare la “Netflix italiana della cultura”. È il progetto messo in piedi dal Ministero dei Beni culturali guidato da Dario Franceschini, capodelegazione del Pd nel governo Conte, assieme alla sempre presente Cassa depositi e prestiti.
L’annuncio era arrivato mesi fa, era il 18 aprile quando Franceschini sottolineò di star ragionando “sulla creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento, una sorta di Netflix della cultura, che può servire in questa fase di emergenza per offrire i contenuti culturali con un’altra modalità”.
Da aprile si arriva dunque fino al 22 dicembre, quando viene costituita la società per azioni ItsArt che vede al suo interno due parti: Cassa depositi e prestiti e Chili SpA. Cos’è Chili? Si tratta di una società di distribuzione video on demand (e non di produzione) fondata tra gli altri da Stefano Parisi, ex manager vicino a Silvio Berlusconi che lo scorso 17 dicembre aveva annunciato il suo addio alla politica. In base a cosa si è scelto come partner Chili? Non è dato saperlo. L’azienda spiega di aver partecipato ad agosto 2020 ad una gara insieme agli altri principali players di mercato – pubblici e privati, italiani e non – per costituire una Joint Venture con Cdp la “Netflix italiana”, mentre dal ministero non si fa luce sui metodi di selezione.
Quanto agli investimenti, Franceschini ha fatto scucire dieci milioni di euro (9,4 per l’esattezza) a Cdp Equity, braccio finanziario del gruppo Cassa Depositi e Prestiti. Altri 9 milioni saranno investiti da Chili, che avrà quote pari al 49% della nuova società contro le 51% di Cdp. A questi soldi vanno aggiunti altri 10 milioni di finanziamento da parte del Mibact.
Attualmente però il progetto resta quantomeno avvolto nel mistero. Il sito internet di ItsArt appare come in costruzione ed è possibile solamente leggere una scarna descrizione in italiano e inglese che recita: “ITsART è il nuovo palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte, live e on-demand, con contenuti disponibili in Italia e all’estero: una piattaforma che attraversa città d’arte e borghi, quinte e musei per celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo”. In basso si possono notare quindi i loghi di Cdp e Mibact, mentre è assente qualsiasi riferimento a Chili.
Sullo sfondo resta, ingombrante, la questione relativa alla Rai. Il servizio pubblico, pagato con soldi pubblici tramite il canone in bolletta, può contare già su RaiPlay, la sua piattaforma streaming perfettamente funzionante e dotata anche di App sugli store digitali. Nonostante ciò, per Franceschini era necessario investire altro denaro in quello che al momento appare un “carrozzone” dagli intenti non chiarissimi e con un finanziamento troppo debole per poter anche solo puntare a essere simile a Netflix. Basti pensare ai poco meno di 2 miliardi che intasca ogni anno la Rai: secondo il ministro meno di 30 milioni dovrebbero basta a ItsArt per realizzare la Netflix italiana.
A confermarlo le parole di Filippo Fonsatti, presidente della Federazione dello Spettacolo dal Vivo: “La sostenibilità economica senza un intervento pubblico è una illusione, un’ipocrisia e un’ingenuità. Senza investimenti pubblici di centinaia di milioni di euro, stiamo parlando del nulla”.
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