La realtà dietro le sbarre
Non solo i magistrati, tutti dovrebbero vivere un giorno in cella
«Per ogni magistrato sarebbe utile vivere per qualche settimana la vita del carcere» è una frase che ricorre ciclicamente in quei rari casi in cui i media si occupano di detenzione che, invece, da sempre – non ciclicamente – vive un’insopportabile, ingiusta ed incivile quotidiana emergenza. Oggi più che mai, con il virus che si autoalimenta in ambienti ristretti e priva i detenuti anche di quel poco che avevano. La citazione, questa volta, è di Bernardo Petralia, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in un’intervista al quotidiano La Repubblica.
Egli ci confida che, quando vinse il concorso in magistratura, fu suo suocero, penalista, a dirglielo e che adesso capisce il significato di quelle parole. All’incirca, quindi, 40 anni fa quest’indicazione fu data, non a caso, da un avvocato ad un neo-magistrato. Il periodo storico è quello della recente entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario del 1975, che prevedeva e prevede, all’articolo 69, che proprio un magistrato – quello di Sorveglianza – deve visitare costantemente gli istituti di pena per vigilare sulla loro organizzazione e prospettare al Ministro della Giustizia le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo all’attuazione del trattamento rieducativo. Deve esercitare, inoltre, la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della pena sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti. Quanto previsto dall’ordinamento, nella maggior parte dei casi, non avviene. Sono pochissimi i magistrati di Sorveglianza che rispettano tale norma e quelli che lo fanno non prospettano al ministro le innumerevoli e gravissime carenze strutturali, organizzative, sanitarie e igieniche che affliggono le nostre carceri. Una malattia cronica contro la quale coloro che dovrebbero combatterla si sono, da tempo, arresi.
Non ci sfugge che il senso delle parole di Petralia non riguarda i magistrati di Sorveglianza, ma le toghe in generale che non conoscono affatto la realtà del carcere. Egli stesso, infatti, nel riportare le parole del suocero-avvocato, ammette che ora ne capisce fino in fondo il significato, perché, solo dopo la sua nomina dello scorso anno, ha iniziato a visitare gli istituti di pena. Nel febbraio del 2012, su iniziativa dell’allora garante dei detenuti della Campania, Adriana Tocco, ben 21 pubblici ministeri visitarono l’istituto di Napoli-Poggioreale, tra questi l’attuale procuratore della Repubblica Giovanni Melillo, all’epoca procuratore aggiunto, che in più occasioni ha sostenuto la necessità, da parte della magistratura tutta, di conoscere la realtà detentiva. Non a caso la Procura di Napoli, sotto la sua direzione, ha istituito una sezione specializzata in reati commessi in carcere ed ha sottoscritto un protocollo d’intesa con l’Ufficio del garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Atti che non hanno inciso sulla drammatica realtà delle carceri napoletane, ma che, se non altro, sono il segnale di una particolare sensibilità che, purtroppo, deve fare i conti con un mondo – quello detentivo – chiuso in se stesso, autoreferenziale e che non suscita alcun interesse da parte della classe politica.
Non so se sia davvero importante che i magistrati entrino o meno in carcere. Potrebbe non essere necessario in quanto basterebbe che facessero il loro lavoro nel rispetto di quanto previsto dalle norme, considerando, ad esempio, la custodia cautelare effettivamente l’extrema ratio e non una pena prima del processo, che non di rado, si conclude con un’assoluzione. Le ingiuste detenzioni sono, in media, tre al giorno. Va promossa, invece, nell’opinione pubblica, la conoscenza di come è oggi il carcere e come, invece, dovrebbe essere. Va indicata l’importanza della pena scontata secondo i principi costituzionali e non in loro violazione. Alcuni anni fa, l’Osservatorio Carcere dell’Unione camere penali si fece promotore dell’iniziativa “Carceri porte aperte” e molti cittadini ebbero l’opportunità di visitare i luoghi detentivi, conoscendone il bene ma anche l’enorme male che essi fanno alla comunità tutta. Visitiamole le carceri, magistrati e cittadini e vergogniamoci di quanto tolleriamo.
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