I dati ministeriali, aggiornati al primo aprile, parlano di 6.458 detenuti presenti nelle carceri della Campania a fronte di una capienza regolamentare di 6.085 posti. Ci sono quindi più di 300 detenuti più di quelli che le strutture penitenziarie possono ospitare, il che finisce per tradursi nella compressione di spazi e diritti. Perché sono inevitabili lo sbilanciamento e l’affaticamento del sistema.
Eppure il 16 febbraio scorso le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione sono tornate a ribadire quale deve essere lo spazio minimo disponibile per ciascun detenuto, cioè lo spazio necessario affinché la pena non si trasformi in qualcosa di inumano e degradante. È una sentenza con cui si conferma che lo spazio minimo per ogni detenuto deve essere di tre metri quadrati al netto dello spazio occupato da mobili e strutture tendenzialmente fisse, inclusi i letti a castello e gli arredi necessari allo svolgimento delle attività quotidiane di vita. Una decisione in linea con quanto stabilì nel gennaio 2013 la cosiddetta sentenza Torreggiani, adottata dalla Corte europea per condannare l’Italia per la violazione della Convenzione europea dei diritti umani.
Da allora sono trascorsi otto anni ma la realtà penitenziaria è ancora lontana dall’assicurare a ogni detenuto condizioni compatibili con il pieno rispetto della dignità umana. Fino a quando il carcere continuerà a non essere l’extrema ratio e i progetti per il rinnovo dell’edilizia penitenziaria continueranno a rimanere su carta, sarà difficile parlare di spazi adeguati per chi deve scontare una condanna in cella. Basti pensare alle carceri della Campania: nella maggior parte dei casi sorgono in edifici storici e vecchi, dove gli spazi non sono concepiti per la rieducazione, dove si arriva a stare in undici in una stanza (come a Pozzuoli) o anche in 13 (come a Poggioreale). «Un carcere sovraffollato si traduce in spazi ristretti e insalubri, nella mancanza di privacy, nella riduzione delle attività fuori cella, nel sovraccarico dei servizi di assistenza sanitaria – spiegano Marella Santangelo, responsabile del polo universitario penitenziario campano e componente della Commissione per l’architettura penitenziaria istituita a gennaio dal Ministero della Giustizia, e Clelia Iasevoli, docente di Diritto processuale penale all’università Federico II di Napoli- Questo porta spersonalizzazione, tensione crescente, violenza».
A otto anni dalla sentenza Torreggiani può ritenersi una conquista il riconoscimento giuridico dello spazio vitale? «In un contesto di emergenzialismo si tende a giustificare una politica criminale proiettata al raggiungimento di risultati di tipo repressivo, oscurando l’opera del giudice delle leggi di disvelamento del volto costituzionale della pena», spiegano Santangelo e Iasevoli. «Nessuna pena può essere indifferente all’evoluzione psicologica e comportamentale del soggetto che la subisce e nessuna pena che preveda la privazione della libertà personale può essere indifferente ai luoghi in cui le persone vengono rinchiuse. Lo spazio in carcere ha un ruolo determinante per la protezione della dignità personale dei reclusi». Domani le due docenti inaugureranno un seminario interdipartimentale («Spazi, diritti e cambiamento culturale») con interventi di magistrati, dirigenti dell’amministrazione penitenziaria e la lectio magistralis del giudice della Corte Costituzionale Nicolò Zanon: un’iniziativa innovativa che ha l’obiettivo di affrontare le tematiche del mondo penitenziario da una prospettiva che consenta di coniugare spazi e diritti.
«Significa – precisano Iasevoli e Santangelo – porre le premesse per il cambiamento culturale che parte dallo spazio vitale, perseguendo l’obiettivo del riconoscimento degli spazi necessari all’azione trasformativa del trattamento individualizzante. Da qui il ruolo fondamentale dell’architettura penitenziaria, che va oltre le misure e lo spazio minimo pro capite, che con il progetto può sperimentare la configurazione dello spazio della pena, per uscire dalla concezione del contenitore e immaginare spazi e articolazioni che tengano al centro l’uomo recluso, i suoi bisogni e la sua dignità».
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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).