L’intervento della ministra della Giustizia Marta Cartabia dinanzi alle Commissioni di Camera e Senato è un chiaro messaggio per pm e giudici: basta con il carcere come unica effettiva risposta al reato. «La certezza della pena non è la certezza del carcere che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio», ha detto la guardasigilli. Che sia il cambio di passo che permetterà all’Italia di non essere più condannata a risarcire ingiuste detenzioni, che interromperà la deriva populista e giustizialista degli ultimi decenni, che eviterà a tanti innocenti in attesa di giudizio di vivere per mesi, o addirittura per anni, in celle sovraffollate e fatiscenti in cui sono mortificati i più fondamentali dei diritti? Perché in carcere non si trovano solo colpevoli, come credeva l’ex ministro Bonafede, e almeno la metà della popolazione carceraria è composta da detenuti in attesa di giudizio, cioè presunti innocenti.

In Campania i numeri sono tra i più alti d’Italia e sono numeri che con la rivoluzione Cartabia potrebbero essere invertiti in nome di un carcere meno affollato e più umano e di una pena capace di volgere concretamente verso la sua funzione costituzionale riabilitativa. Secondo l’ultima relazione del garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello, a fronte di una capienza regolamentare di 6.156 persone, nelle quindici carceri della Campania si registrano 6.329 reclusi, di cui 2.349 in attesa di giudizio. Rispetto al 2019, nel 2020 le presenze in carcere si sono ridotte di appena il 15% e su questo dato, più che una cultura del carcere come extrema ratio, ha prevalso la pandemia con l’esigenza di ridurre il sovraffollamento dietro le sbarre. Intanto, ancora oggi oltre 2mila persone attendono un processo rinchiuse in celle di pochi metri quadrati e senza la possibilità, adesso anche a causa degli stop imposti dalla pandemia, di impiegare le giornate con attività di formazione o di lavoro.

Nel 22% dei casi vivono rinchiusi in celle che non hanno le docce, nel 37% senza bidet in cella, nel 16% addirittura senza l’acqua calda. Nel 69% dei casi gli istituti penitenziari hanno fatto ricorso alla cosiddetta “sorveglianza dinamica” che consente ai detenuti di trascorrere la maggior parte della giornata al di fuori degli stretti spazi della cella, ma non basta per rendere il carcere più vivibile. Nella casa circondariale di Poggioreale «le condizioni detentive appaiono critiche – si legge nel dossier del garante regionale – arrivando a ospitare in una singola camera detentiva anche 14 reclusi». Poggioreale è anche il carcere con il maggior numero di detenuti (il 35% della popolazione campana), seguito da Secondigliano (19%) e da Santa Maria Capua Vetere (14%). «Questi istituti – conclude Ciambriello – rappresentano le realtà in cui il livello di sovraffollamento è una grande criticità e in cui l’insufficienza di attività trattamentali rende più difficile la realizzazione di una prospettiva di recupero e di reinserimento sociale».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).