Se ci fossero braccialetti elettronici a sufficienza per tutti i detenuti che dovrebbero beneficiare della detenzione domiciliare e se non ci fossero, nel personale di cancelleria e di magistratura dei tribunali e in particolare dei tribunali di Sorveglianza, vuoti di organico grandi come voragini, le misure varate dal governo nel cosiddetto pacchetto giustizia del Decreto Ristori avrebbero un sicuro effetto. Ma, soprattutto quando si parla di carcere, la pratica può essere diversa dalla teoria, le previsioni lontane dai dati di fatto. E così, di fronte a iniziative annunciate con una certa soddisfazione dal governo, non si riesce a essere pienamente ottimisti. Certo, qualcosa si è mosso e questo, in uno scenario di anni di indifferenza politica rispetto ai temi del carcere, è pur sempre qualcosa.

Resta però la sensazione che si sarebbe potuto fare di più. «È chiaro che sono delle misure importanti ma anche molto limitate», osserva il garante nazionale dei detenuti Mauro Palma. Il Covid è ormai una minaccia anche per chi vive e lavora all’interno di strutture carcerarie. I numeri sui nuovi positivi nei 41 istituti di pena crescono di giorno in giorno, al pari dei numeri di agenti di polizia penitenziaria e personale sanitario delle carceri contagiati o in isolamento preventivo. Su una popolazione di 55mila detenuti si sono registrati oltre 150 positivi al coronavirus.

Dottor Palma, di fronte a un simile scenario si possono ritenere sufficienti le misure previste nel pacchetto giustizia?
Credo che ci sia bisogno di qualcosa di più. Tuttavia, mi sembra importante che si sia affrontato il tema e mi sembra anche di significato positivo il fatto che queste misure siano all’interno del decreto che chiamano Ristori, perché tutto c’è da ristorare, non solo la questione economica ma anche l’aspetto che riguarda chi è in carcere.

Cosa cambierà con queste nuove misure anti-Covid?
Le misure sono tre. La prima riguarda la detenzione domiciliare per persone con un residuo di pena non superiore a diciotto mesi, con l’esclusione però di determinati reati relativi al 4 bis e con la previsione, per chi deve scontare più di sei mesi, del braccialetto elettronico. È una misura che riprende quella adottata a marzo scorso, ma vale più come segnale culturale che come efficacia diretta.

Quindi non bisogna aspettarsi un grande sfollamento delle carceri?
Non credo. A marzo il segnale culturale fu dato e molta della magistratura di Sorveglianza si mosse, ma se poi andiamo a vedere quante sono state le applicazioni concrete delle misure notiamo che i casi sono stati limitati. Resta comunque il fatto che si è ottenuto un ridimensionamento della popolazione carceraria che da 68mila detenuti di marzo è scesa a giugno a 52600 detenuti circa.

Nei mesi successivi al lockdown, con la ripresa delle esecuzioni degli ordini di carcerazione e delle misure cautelari, il numero degli ingressi nelle carceri è salito nuovamente…
Per questo penso che le misure varate dal governo abbiano un effetto più incisivo sul piano culturale che pratico. Sono misure molto limitate, ma giuste da prendere. Va bene anche la misura che prevede che chi ha la semilibertà possa stare in licenza e non rientrare la notte in carcere. È un modo per contenere i rischi di contagio ed evitare di occupare in maniera inutile posti nelle celle. Quindi la semilibertà prosegue fino al 31 dicembre, ed è previsto un ampliamento anche per chi ha un permesso premio prevedendo la possibilità di superare il limite dei 45 giorni entro l’anno. Ciò consente, dunque, di rimanere in permesso anche fino alla fine dell’anno.

Si stimano circa 5mila detenuti beneficiari delle nuove misure: circa 3mila detenuti dovrebbero ottenere la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare e circa 2mila potrebbero beneficiare di semilibertà e permessi premio. Crede che i tribunali riusciranno a valutare tante posizioni nei tempi stretti che impone la pandemia?
Cinquemila detenuti mi sembrano una platea teorica. Dubito che i tribunali di Sorveglianza abbiano le forze per procedere su queste pratiche allo stesso ritmo che il contagio ci richiede. Inoltre, bisognerà vedere come risponderanno, se tutti i tribunali risponderanno in maniera uniformata nell’intero paese. L’esperienza precedente ci dice di no, perché ci sono problemi applicativi che variano da regione a regione.

Prima dicevamo che le misure del pacchetto giustizia sono qualcosa ma non abbastanza. Cosa si poteva fare di più. Quali altre misure si sarebbero potute adottare?
Noi avevamo proposto altre due misure: un allargamento temporaneo, per quest’anno e per il prossimo, della liberazione anticipata, per cui per coloro che già hanno la liberazione anticipata e hanno già avuto un giudizio del magistrato che l’ha data si sarebbe potuti passare dai 45 giorni per ogni semestre previsti a 75 giorni per ogni semestre. In questo modo nella soglia dei diciotto mesi per la detenzione domiciliare sarebbe rientrata una platea molto più ampia. L’altra proposta riguardava la possibilità di sospendere o rinviare l’ordine di esecuzione per coloro che hanno pene molto basse e sono già fuori dal carcere, in modo da evitare che dopo la condanna definitiva si debba finire in carcere per scontare pochi mesi.

Al di là dell’emergenza Covid, qual è secondo lei la più grande criticità del sistema carcerario?
Contrariamente a quanto molti risponderebbero, e cioè il sovraffollamento, per me è la qualità del tempo che il detenuto trascorre in carcere. Non può essere un tempo solo sottratto, che si fa passare aspettando che finisca. E non può essere un tempo diverso dalla vita. Pensiamo a un detenuto che entra in carcere e ci resta anni durante i quali fuori accadono delle cose e c’è progresso tecnologico: se questo detenuto non è aggiornato, come troverà lavoro una volta fuori? Inoltre, ogni volta che vado in carcere vedo detenuti impegnati in lavoretti come se non vivessero una vita adulta. Il tempo in carcere è un tempo doloroso ma deve anche essere un tempo di vita, di vita reale. Il primo problema quindi è la qualità del tempo, più che la quantità.

Dunque no a un carcere contenitore. Eppure quanti ce ne sono…
La Campania e la Lombardia sono i due più grandi contenitori del carcere. Un carcere come quello di Poggioreale, a Napoli, per esempio, è molto complesso, ci sono condizioni difficili anche per chi vi lavora, è un carcere che richiede attenzione ma anche un carcere dove negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti. Il problema vero è che non dovrebbero più esserci carceri da duemila persone.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).