L'appello
Bonafede abbia più coraggio: contro il Covid domiciliari e sospensione della pena
Di fronte all’arrivo della seconda ondata del Covid-19, in carcere «il tema torna a essere quello della riduzione del numero di presenze», come scrive il Garante nazionale nel suo comunicato di ieri. Per aver chiaro cosa questo significhi, basta fare attenzione al caso di Terni, il più significativo e preoccupante in queste ore. Nel giro di pochi giorni si è passati da un primo caso di un detenuto pauci-sintomatico a venti, e poi a quaranta, mentre scrivo a sessanta detenuti positivi al virus, tre dei quali sono dovuti ricorrere all’assistenza medico-ospedaliera. La diffusione del virus è tale che non si è riusciti neanche a tracciare la sua dinamica. I tamponi sono ancora in corso e i numeri potrebbero ancora aumentare.
Lo sapevamo e lo ripetiamo da marzo (anzi no, forse da febbraio): le comunità chiuse sono luoghi in cui la diffusione del virus rischia di essere più grave che altrove. Lo abbiamo visto nelle residenze sanitarie assistenziali così come nei focolai penitenziari che sono stati registrati anche nella prima ondata. In carcere, poi, le condizioni igieniche e di promiscuità nella vita quotidiana amplificano i rischi delle altre comunità chiuse. Si può cercare di costruirgli un cordone sanitario intorno, ma nessun carcere sarà mai completamente sigillato: quotidianamente vi entrano operatori e personale addetti a servizi essenziali che vivono la vita di fuori e possono, anche senza colpa, portare il virus dentro. Visti i numeri, a Terni per il momento è stata attrezzata una sezione dedicata, a cui forse bisognerà affiancarne un’altra, destinata alla ospitalità di coloro che progressivamente dovessero negativizzarsi, prima che se ne possa disporre il rientro nelle sezioni comuni. Questo significa avere disponibilità di spazi, per il semplice rispetto delle norme di igiene e prevenzione. E gli spazi si trovano solo se gli istituti si svuotano. Il problema non è semplicemente la riduzione del sovraffollamento, ma la necessità di avere spazi liberi, ben oltre il rientro nella capienza regolamentare degli istituti.
È notizia di queste ore che il Governo nel decreto Ristori ha approvato nuove misure per la riduzione della popolazione detenuta. Bene, ma è necessario che esse abbiano la necessaria incisività e la rapida applicabilità che quelle di marzo non sempre ebbero. Non a caso, il Garante nazionale auspica che possano non solo confermare, ma anche «ampliare quelle adottate a suo tempo». Va bene dunque il ritorno delle licenze straordinarie per i semiliberi. Va bene la semplificazione dell’accesso alla detenzione domiciliare a fine pena, soprattutto se verrà liberata dalle limitazioni che hanno indotto tanti magistrati ad adottare la normativa ordinaria, piuttosto che quella “semplificata”. Ma forse serve anche qualcosa di più, come il ritorno alla liberazione anticipata speciale che diede ottima prova di sé in occasione della risposta alla condanna della Corte europea per i diritti umani per il sovraffollamento inumano e degradante delle nostre prigioni.
Un provvedimento naturalmente semplificato, fondato sui presupposti della buona condotta e della partecipazione all’offerta trattamentale, che potrebbe ridurre del necessario le presenze in carcere, se applicato con decorrenza da quando si è interrotta la sua precedente vigenza, e cioè dal gennaio 2016. E senza scandalo bisognerà tornare a utilizzare la sospensione della pena o la detenzione domiciliare per motivi di salute nei confronti dei detenuti anziani e vulnerabili, come giustamente suggeriva quella nota della direzione generale dei detenuti che ha sconcertato chi non ha chiara la gerarchia dei valori nel nostro ordinamento e il posto che in essa occupano il diritto alla salute e alla vita della persona, di qualsiasi persona, di qualsiasi reato si sia macchiato. Queste le sfide che ci attendono, nei prossimi giorni, e che dovranno rispondere efficacemente a detenuti, familiari e operatori, tutti legittimamente preoccupati per le condizioni di salute proprie o dei propri cari.
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