Valerio è stato soppresso dalle istituzioni, ma ora la sua morte deve essere un faro sulle altre morti che continuano ad avvenire in carcere”. Ester Morassi, 3 anni e mezzo dopo la scomparsa di suo figlio è distrutta, ma non si arrende e continua a combattere quella che definisce “una missione, l’unico scopo di vita”. Il 24 febbraio 2017 Valerio Guerrieri aveva solo 21 anni e si è suicidato con un cappio fatto con lenzuola e coperte nel carcere di Regina Coeli. Oggi ci sono 8 persone a processo e 2 che lo rischiano, tra cui la direttrice dell’istituto penitenziario.

“Mio figlio era un ragazzo ipersensibile – racconta Ester a Il Riformista nella sua casa all’Infernetto, in periferia di Roma- cognitivo, ma con delle cadute, che gli psichiatri chiamavano vizi imparziali di mente. La sua adolescenza l’ha passata purtroppo tra arresti, ricoveri e Tso. Io sapevo come prenderlo, ma non tutti erano come me. Un giorno viene preso perché aveva rubato un motorino e viene messo agli arresti domiciliari a Villa Letizia. Qui conosce il figlio di un capo della Banda della Magliana: insieme iniziano a consumare cocaina e a fare rapine”.

Ester soffre nel ricordare il figlio e le sue difficoltà, mentre è circondata dai tanti cani che ha accolto in casa per trovare compagnia e coraggio, ma ci tiene a raccontare ogni dettaglio. “Il 3 settembre 2016 – ci spiega – sul Raccordo anulare non si ferma alla richiesta della Polizia. Viene arrestato, ma dopo il processo viene condotto ai domiciliari. Ma le forze dell’ordine dicono che a casa non può stare, perché dicono che non è un ambiente adatto, può scappare e ci sono troppi animali. Per questo è meglio la prigione. Va a Regina Coeli e ci rimane fino a inizio dicembre”.

A quel punto il giudice decide di mandarlo nella Rems di Ceccano, una struttura che dovrebbe essere adeguata ad ospitare ragazzi con problematiche come quella di Valerio, ma dove invece, ci dice Ester, “si sentiva isolato, doveva citofonare anche per fare pipì e non aveva occupazioni”. Il giovane scappa, viene preso e riportato a Ceccano e di nuovo fugge. Così per tre volte durante tutto il mese di dicembre. Alla fine il 23 dicembre viene di nuovo portato nell’istituto penitenziario di Roma.

“Io l’avevo visto che mio figlio era arrivato alla frutta – ci dice disperata Ester – mi ero accorta che era stanco ed era quello il momento in cui aiutarlo veramente. A gennaio nella cella si taglia da solo tutto il braccio. A febbraio un giudice dice che va scarcerato e portato in un’altra Rems. Uno psichiatra è convinto che è a rischio suicidio, ma non cambia nulla: alla fine lui chiede la terapia del sonno e quella del dolore, poi si ammazza”.

Cosa c’è dietro tutto questo? Per Ester Valerio “è stato chiuso lì dentro volutamente, perché qualcuno voleva sbarazzarsi di lui. A processo ora ci sono sette guardie penitenziarie e una psicologa per omicidio colposo. Poi il gip ha detto che devono andare a processo anche la direttrice del carcere e una dirigente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Le accuse per loro vanno dall’omissione di atti d’ufficio al reato di morte come conseguenza di un altro delitto.

Ester adesso vuole ristabilire la verità: “Ora chi ha sbagliato paghi. Valerio era un po’ selvaggio, un Mowgli dell’Infernetto, ma non era quello che hanno fatto credere che fosse, era una persona buona”.

Giacomo Andreoli e Chiara Viti

Autore