L’energia è il motore di ogni economia avanzata. Senza una strategia chiara e sostenibile, un Paese rischia instabilità e declino, soprattutto in un contesto globale segnato da terrorismo e dall’uso spregiudicato delle fonti fossili da parte di regimi autocratici. L’Italia, storicamente dipendente dall’estero per l’energia, deve affrontare una doppia sfida: garantire l’indipendenza energetica e gestire la transizione ecologica senza compromettere la competitività. In questo quadro, il nucleare è un’opzione imprescindibile.

Paesi come la Francia, che lo utilizzano, hanno bollette più basse e maggiore sicurezza energetica, mentre Italia e Germania dipendono ancora dai fossili per il “carico di base”, nonostante l’UE ne imponga il progressivo abbandono. Senza nucleare, il sistema rischia squilibri e costi insostenibili. Nonostante i vantaggi evidenti, l’opinione pubblica italiana resta divisa, anche a causa di campagne mirate a scoraggiarla. Si citano rischi sismici, ma esistono aree sicure per la costruzione dei reattori. Si teme lo tsunami, ma in un mare chiuso come l’Adriatico è altamente improbabile. Un altro nodo è la gestione delle scorie: l’Italia già produce rifiuti radioattivi per uso medico, industriale e di ricerca, e l’UE impone un deposito nazionale, ma il progetto si scontra con proteste e resistenze politiche.

Senza una soluzione definitiva, i rifiuti restano dispersi in siti temporanei o inviati all’estero con costi aggiuntivi. Il nucleare non è solo una fonte di energia stabile e programmabile, ma ha applicazioni cruciali in medicina, produzione di idrogeno, agricoltura, ricerca, desalinizzazione e propulsione aerospaziale. In passato, l’Italia era all’avanguardia nel settore, ma scelte politiche e paure infondate hanno portato alla chiusura delle centrali, esponendo il Paese alla speculazione sui prezzi dell’energia e riducendo la competitività delle industrie, costrette a pagare fino al 30% in più per le fonti fossili rispetto al nucleare.

Ora, dopo anni di stallo, il governo Meloni ha riaperto il dibattito con una legge delega per la reintroduzione del nucleare. Un passo fondamentale, che però richiede un cambiamento culturale. L’opinione pubblica deve essere informata con dati scientifici, superando ideologie e paure irrazionali. Serve un’informazione chiara e trasparente, coinvolgendo scuole, università, media e istituzioni. Ritardi ulteriori penalizzerebbero la competitività del Paese, con ripercussioni su PIL, salari e occupazione. Per questo, le parti sociali e le associazioni dei consumatori dovrebbero essere i primi promotori di una svolta rapida per correggere gli errori del passato.

Raffaele Bonanni

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