Matteo Salvini è tornato in campagna elettorale. Il processo per sequestro di persona – i 142 migranti della nave Open Arms tenuti alla fonda nell’agosto 2019 – che inizierà il 15 settembre a Palermo è il detonatore di una nuova fuga in avanti del leader della Lega che rischia di pesare sulla tenuta del governo Draghi e della coalizione di centrodestra. L’occasione, soprattutto, per uscire dall’angolo in cui si è infilato entrando nel governo di unità nazionale. Il doppio registro tenuto finora – di lotta e di governo – è uno schema che rischia di logorarsi nel tempo. E di logorare la sua leadership sempre più sotto assedio da parte dell’alleata Giorgia Meloni. E anche da parte dell’asse della Lega del nord che ha i suoi pivot nel governatore Zaia e nel ministro Giorgetti, colui che più di tutti – si dice – sussurri alle orecchie di Draghi. «Non è la Lega di Salvini che è entrata al governo», sottolineano buttando benzina sul fuoco fonti di Fratelli d’Italia.

Il processo, quindi. L’ex ministro dell’Interno è indagato/imputato per sequestro di persona in due diversi procedimenti: quello per la nave della ong spagnola Open arms (agosto 2019) e per la motonave Gregoretti (luglio 2019). Due fatti analoghi con due decisioni al momento diverse: per la Open Arms è a processo con l’accusa di sequestro di persona (15 settembre); per la Gregoretti il gup deciderà il 14 maggio ma la procura di Catania ha già detto di non ravvisare il reato. Da sabato, quando il gup di Palermo ha ufficializzato il rinvio a giudizio, le mosse di Salvini hanno preso una direzione precisa. Gli è stato offerto un palcoscenico naturale che lui sfrutterà a pieno nel ruolo della “vittima” di un sistema giudiziario (“quello raccontato da Palamara”) che fa politica e “punta all’eliminazione dell’avversario politico attraverso processi e inchieste”. La battaglia “contro la magistratura politicizzata” andrà di pari passo con quelle delle rivendicazioni rispetto all’azione del governo Draghi. Anche se sarà sempre più difficile alzare bandierine rispetto a un premier che si sta rivelando assai più “politico” del previsto. Le riaperture sono state una decisione di Draghi. Di cui si assume oneri e onori.

Salvini può solo alzare continuamente l’asticella: le riaperture sono “finte”, bisogna togliere di mezzo il coprifuoco (“gli italiani vanno a cena alle 22, non si può chiudere”) e fare di più. Il decreto che regolerà le aperture (atteso per mercoledì-giovedì) dovrà essere “scritto con molta attenzione”. La sensazione però è che l’azione del governo Draghi lascerà sempre meno spazio di azione e rivendicazione al leader leghista visto che tre suoi ministri siedono in quell’esecutivo e non alimentano critiche. Anzi. Ecco perché Salvini cercherà ogni occasione per anticipare il voto alla primavera del 2022, subito dopo l’elezione del Capo dello Stato. Non possono essere da meno Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni che hanno rifiutato il governo di unità nazionale proprio “per dare la parola al popolo”. E se Salvini venerdì scorso non era nella delegazione che ha incontrato Draghi a palazzo Chigi nel giro di consultazioni avviate dal premier per fare il punto con le forze politiche – assenza tattica, per tenere le mani libere – ieri pomeriggio Giorgia Meloni ha guidato la sua delegazione. Uscendo ha mostrato come uno scalpo il nuovo cavallo di battaglia della sua opposizione: «Il governo non illustra i contenuti del decreto Sostegni e del Recovery plan italiano. Ma Fratelli d’Italia non può votare al buio altro debito per 40 miliardi».

Tra Lega e Fratelli d’Italia è ormai guerra aperta e Salvini rischia di restare schiacciato. I sondaggi fotografano la crescita lenta di Meloni (17,5%) e lo stallo di Salvini (22%). Salvini non concederà mai la guida del Copasir a Fratelli d’Italia nonostante sia un loro diritto. Fanno a gara per togliersi argomenti a vicenda. È duello quotidiano tra la conferenza stampa di una e i punti stampa dell’altro. Per non parlare delle interviste tv. Pur di uscire dall’angolo Salvini è arrivato a ipotizzare una nuova casa europea con Orban e il premier polacco (Rinascimento europeo) per sottrarsi alla zavorra letale dei nazionalisti di Identità e cultura (dove sta Le Pen) ed evitare di finire nel gruppo dei Conservatori di cui Meloni è presidente. Un Salvini nervoso vede la trappola. Il processo rischia di essere l’unica via di fuga. Ma anche, se dovesse andare male, un reale impedimento alla sua leadership.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.