Non ho mai condiviso le posizioni di Matteo Salvini, specie quelle in tema di immigrazione, ma ho sempre ritenuto che non fosse configurabile il delitto di sequestro di persona nel caso di immigrati soccorsi in alto mare e poi bloccati dall’allora ministro dell’interno in attesa di individuare un “porto sicuro” per lo sbarco. I rapporti tra Salvini ministro e il reato di sequestro di persona sono assai complessi e riguardano in particolare gli interventi umanitari della Open Arms, nave di soccorso di una Ong, e della nave della Guardia Costiera Gregoretti, di cui oggi abbiamo nuovamente occasione di occuparci. L’impressione è che talvolta lo stesso Salvini abbia in un certo senso provocato l’incriminazione per sequestro di persona per fini di immediata convenienza politica.

Emblematico è proprio il caso della Gregoretti nel gennaio del 2020, quando il Senato doveva decidere sull’autorizzazione a procedere per tale reato: dapprima Salvini si è opposto alla richiesta di autorizzazione, dando in tal senso istruzioni ai senatori della Lega, poi ha cambiato parere e gli stessi senatori hanno espresso il volto decisivo a favore dell’autorizzazione. Eravamo in prossimità di un appuntamento elettorale – le regionali in Emilia-Romagna – e presumibilmente Salvini aveva ritenuto politicamente più conveniente presentarsi agli elettori in qualità di “martire” perseguitato dalla giustizia penale per avere difeso le acque territoriali italiane dal pericolo di un’invasione di centinaia di immigrati irregolari. In quella circostanza aveva anche pronunciato una frase melodrammatica: «Ci sono talvolta momenti in cui per arrivare alla libertà bisogna passare per la prigione».

Invece in altre occasioni (ad esempio nella vicenda della nave Open Arms del maggio 2020) Salvini era parso seriamente preoccupato per il rischio di una condanna a 15 anni di galera (è questo il massimo della pena previsto per il reato di sequestro di persona aggravato perché commesso da un pubblico ufficiale e per essere presenti dei minorenni tra i “sequestrati”). Si era allora persino rivolto al Capo dello Stato denunciando che la magistratura non assicurava le garanzie di imparzialità e indipendenza. Ora, finalmente, ci troviamo di fronte a una Procura della Repubblica – quella di Catania – che per la terza volta nel corso del medesimo procedimento penale chiede il non luogo a procedere nei confronti di Salvini perché il fatto non sussiste. In effetti è ben difficile riuscire a ravvisare gli estremi del reato di sequestro di persona nel comportamento di un ministro che, in attesa dello sbarco, ha di fatto tenuto i migranti prigionieri a bordo di una nave, ma non per privare quelle persone della libertà personale. Nel caso della nave Gregoretti ha agito per una finalità politica condivisibile e apprezzabile, cioè per coinvolgere l’Unione Europea e altre nazioni dell’Ue nell’accoglienza dei migranti.

Le procure della Repubblica che hanno sinora chiesto di incriminare il ministro dell’interno Salvini per il reato di sequestro di persona hanno considerato alla stregua di un reato scelte ed esigenze politiche quali sono quelle di un ministro che dialoga con l’Unione Europea e con le nazioni che ne fanno parte. Sono cioè andate al di là della funzione e dei limiti propri della giurisdizione, invadendo il campo dell’agire politico. È vero che Salvini ha sempre avuto una visione miope ed egoistica del fenomeno migratorio, ma non tocca alla magistratura prendere posizione su questo atteggiamento di fondo. A ciascuno il suo: ai magistrati il compito di perseguire i reati effettivamente esistenti attivando la giustizia penale; al Parlamento e poi al corpo elettorale il potere di censurare attraverso il voto le scelte e gli atteggiamenti politici dei governanti.

Bene dunque ha fatto la Procura della Repubblica di Catania a chiedere al giudice dell’udienza preliminare di dichiarare che non sussiste alcuna ipotesi di sequestro di persona. Il giudice si è riservato di decidere rinviando l’udienza al 14 maggio. Vi è da augurarsi che accolga la richiesta del pubblico ministero, ponendo fine a una vicenda che per troppi anni ha visto altri uffici giudiziari abbinare il reato di sequestro di persona a un ministro dell’interno che agiva nella sfera delle sue legittime funzioni politiche.