L'ingiustizia della caccia
Dopo Berlusconi e Renzi il circo mediatico ha un nuovo nemico: Matteo Salvini

Ora tocca a Salvini. Sono già pronte le dieci domande di Repubblica (il neo-direttore Molinari dovrebbe dichiararsi prigioniero politico), anticipate due giorni fa da una constatazione, “La Lega è circondata” e ieri dalla prima vera frustata, “Il Capitano non può più tacere”, firmato da Ezio Mauro. Conosciamo il clima. Non c’è bisogno di orecchiare vecchie sinfonie, come fece un anno fa in Senato Matteo Renzi, quando ricordò la Lokheed e le dimissioni del Presidente Giovanni Leone fucilato alla schiena da una furibonda campagna di stampa e il grande orgoglio di Aldo Moro, “non ci lasceremo processare nelle piazze”.
Questo Paese ne ha viste troppe perché gli sia consentito di perdere la memoria. Quella di trent’ anni fa quando rimasero a terra quarantun morti suicidi in seguito a un fenomeno che si autoproclamò Mani pulite, ma che oggi potrebbe essere ribattezzato coscienze sporche. E quando si aprì una vera caccia al “cinghialone”, mentre l’intero Palazzo di giustizia di Milano diventa teatro non di diritto ma di umiliazioni e di inseguimenti. Finché la prima informazione di garanzia a Bettino Craxi non divenne momento di liberazione e applauso da parte degli stessi cronisti giudiziari. Il provvedimento era stato cercato e atteso e poi inviato, non a tutela di persona indagata, ma quasi a coronamento (e il peggio doveva ancora venire, ma ormai è storia antica) di un vero inseguimento, una vera caccia all’uomo. Non il perseguire un reato, ma il braccare il presunto reo. È storia, appunto. Ma il primo a doverla studiare bene è proprio Matteo Salvini, che è l’erede della Lega che gridava “Roma ladrona”.
In questo Silvio Berlusconi è stato più svelto. Non ha aspettato -e d era giusto il 1994, anno del suo esordio in politica – l’uscita del Circo mediatico-giudiziario, il libretto di Daniel Soulez Larivière con la prefazione di Giuliano Ferrara, che lanciava un piccolo allarme su quel che stava succedendo in Francia. Berlusconi fu un bersaglio facile, per i procuratori. Se sei un imprenditore, basta sguinzagliare sulle tue tracce un po’ di finanzieri a cercare qualche pelo nell’uovo. Inutile tentare di incastrarti come politico corrotto, se non altro perché sei un miliardario che non ha certo bisogno di rosicchiare tangenti, e anche perché, sapendo che la politica costa, il tuo partito te lo finanzi da te. E allora si cerca altrove, non nell’attività del politico, ma in quella dell’imprenditore. Si parte dando per scontato che qualcosa ci deve essere. Come già con Craxi e con tanti altri, prima si individua il “reo”, la belva feroce da cacciare, poi gli eventuali reati.
Picchia la moglie, disse il cinese, qualcosa di male ha sicuramente fatto. Così centinaia di perquisizioni, cerca, cerca. E andava sempre male, accidenti. E poi ci volle una donna, una che non amava le altre donne, e che frugò e frugò, e spiò e spiò, e pedinò e pedinò. E vide fanciulle a cene eleganti, ne vide una che aveva disinvoltura e anche una certa “furbizia levantina” (così disse la pm al processo) e decise che non era lì per libera scelta, ma come vittima sacrificale dell’orco. E processò, e anche lei perse. Infine ci fu uno che in cassazione vinse e catturò, ma ancora non sappiamo bene in che modo. E Silvio Berlusconi fu infine condannato, mandato a imboccare i vecchietti alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone e cacciato dal Senato. E questa è una vicenda che Matteo Salvini conosce bene, lo ha sfiorato da vicino e lui l’ha capita.
Colui che invece aveva pensato, come già i suoi predecessori del Pd-Pds-Ds avevano sperato nei confronti del Psi, di potersi appropriare delle sue spoglie, fu Matteo Renzi, che ancora non aveva dato lettura al libretto francese, pur conoscendo lui piuttosto bene la lingua. Così collaborò all’espulsione di Berlusconi dal Senato senza troppo badare ai principi costituzionali sull’irretroattività della norma penale, nonostante schiere di giuristi avessero alzato il ditino ad ammonirlo. Fu però coraggioso, in seguito, da presidente del consiglio. Osò persino tentare di ridurre da 45 giorni a 30 le ferie dei magistrati. Indimenticabile quel suo “brr”, che paura, irridente e spavaldo. Pagherà, pagherà tutto. Il tormento dato dal solito circo sui suoi genitori, e poi la storia del finanziamento di Open e persino le intercettazioni di Palamara in compagnia di qualche suo amico. Quel coraggio che scivola spesso nella strafottenza non gli è mai mancato, e lo ha tirato fuori un anno fa in Senato, quando non ha mostrato paura a riferirsi al discorso di Craxi del 1992 e alla sua chiamata in correità di tutti i partiti che si erano finanziati in modo “irregolare o illegale”.
Quando ti tirano un boccettino di acido sulla pelle, e ti brucia, e non sai se te la caverai perché sei danneggiato un po’ su tutto il corpo, non dovresti aver bisogno di occhiali per vedere l’acido gettato sulle pelle degli altri. Oggi tocca a Matteo Salvini. Oggi è lui il nuovo “cinghialone”, e siamo ormai alla vigilia delle dieci domande che Repubblica fece a Berlusconi, colui che oggi è trattato (finalmente, ma temiamo provvisoriamente) come uno statista, ma solo perché il nemico cui dare la caccia è un altro. Nei confronti del leader della Lega non c’è niente di concreto sul piano penale, se si escludono i due processi (quello per Open Arms è imminente) per la sua politica sull’immigrazione che ebbe nel ruolo di ministro dell’interno. Un po’ pochino, se si pensa che persino i magistrati intercettati gli davano ragione, salvo constatare, senza nessun pudore per il proprio ruolo, che comunque lui andava combattuto.
E già, perché la caccia era già iniziata. Così si tenta il colpo grosso con le intercettazioni all’hotel Metropol di Mosca alla ricerca di tangenti petrolifere. Ma l’indagine pare ferma. Gli si gira intorno, pizzicando un po’ di entourage faccendiero, si arriva a un affare per l’acquisto di un capannone comprato per 400.000 euro e rivenduto al doppio. Senza offesa, ma finora nel carniere non c’è proprio niente. Allora si comincia a scrivere che la Lega è accerchiata e che Salvini deve parlare. Ma per dire che cosa? Forse potrebbe invece ripassare la storia italiana del Circo mediatico- giudiziario. E magari insieme a Renzi (Berlusconi ha studiato abbastanza) capire che i cinghialoni sono tanti. Ma anche i cinghialini, migliaia di cittadini che ogni giorni subiscono l’ingiustizia della caccia.
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