L'intervista
Opere pubbliche, modello-Giubileo: per De Micheli “servono più coerenza e volontà”
Paola De Micheli, deputata dem, ex sottosegretaria al Mef (nei governi Renzi e Gentiloni) e poi ministra delle Infrastrutture e Trasporti nel governo Conte II, è tra i riformisti del Pd più vicina a Paolo Gentiloni.
Onorevole De Micheli, un miracolo civile, l’ha definito Meloni: a Roma per il Giubileo è stato consegnato un cantiere per tempo. Sottopasso realizzato bene, senza ricorsi, senza avvisi di garanzia, senza incidenti sul lavoro. È la dimostrazione che si può fare?
«Bisogna volerle, le opere. Perché il problema è sempre all’inizio della vicenda: volerle».
Cosa significa, perché sottolinea volerle?
«Perché le opere vanno finanziate con continuità. Cosa che il governo Meloni non sta facendo. Vuol dire che se vuoi portare a termine un’opera ci metti i soldi necessari e lo fai per tutto il tempo che è necessario. E poi, per fare le opere bisogna condividerle. Non si fanno le opere addosso alle persone».
Cosa intende per farle addosso alle persone?
«Voglio dire che i territori, i luoghi, le comunità interessate dalla fase di disagio dei cantieri, devono essere coinvolte. Ci vuole la consapevolezza di chi vive i luoghi su cui sono imperniate le opere. Anche perché le opere non portano consenso. Ed è per questa ragione che un’opera finanziata poi viene definanziata, poi se ne finanzia un’altra…»
Scusi ma perché i governi fanno questi giochini? Non puntano a inaugurare le opere?
«Più di qualche volta va diversamente: i governi non vogliono davvero quelle opere, ma vogliono dire che le avrebbero volute. Promettere e realizzare sono da sempre due cose diverse. Le opere pubbliche hanno una fase di gestazione che è più complicata della fase di realizzazione. Insisto nel far capire un punto: le opere vanno fatte, sì. Ma non portano consenso».
Perché no?
«Non si prendono voti per un’opera pubblica. Si conquista consenso se dai lavoro, se dai dei bonus, se offri un sogno. Se realizzi un’opera pubblica, per quanto importante, non prendi voti. Però vanno fatte».
E vanno fatte perché sono un investimento per il futuro, perché contribuiscono a vivere meglio e a sviluppare logistica, fare impresa, incentivare il turismo…
«Tutto vero, ma parto da un’altra considerazione: vanno fatte perché sono la premessa indispensabile per lo sviluppo della società. Solo le opere pubbliche determinano nuovi servizi e miglioramenti tangibili nella vita delle persone. Quando parlo di opere penso a strade, autostrade, sottopassi, metropolitane, scuole… qualunque di queste categorie di opere pubbliche segna l’inizio della trasformazione. Ciò che serve alle comunità per migliorare la qualità della propria vita».
Veniamo a Roma. Si parla già di Modello-Giubileo, il sindaco Roberto Gualtieri sta portando a casa dei successi “normali”, come un cantiere che consegna nei tempi e senza errori…
«Gualtieri è una “rara avis”. Un politico raro. Perché lui ha sostanzialmente fatto finta che non esistesse il tema del consenso per organizzare tutta la sua amministrazione in funzione della soluzione dei problemi concreti dei romani. Questo nel breve termine ha determinato qualche mugugno, ma i romani avranno una città che assomiglia molto di più alle capitali europee».
E questo potrebbe trasformarsi in consenso.
«Ne sono certa. I successi sulle opere diventano consenso quando i cittadini hanno benefici dai servizi collegati. Perché sono i servizi che determinano il consenso. Le opere sono un prerequisito dei servizi».
Per il “miracolo civile” del modello-Giubileo c’è stata una siuinergia tra governbo e Comune, tra centrodestra e centrosinistra?
«Governi, non governo. Era stato Draghi a dare impulso alle opere del Giubileo. Meloni è stata obbligata a seguire».
Nella manovra, un miliardo e mezzo per il Ponte sullo Stretto. Si farà?
«Il Ponte sullo stretto va fatto, è un’esigenza trasportistica. L’ho scritto nella mia relazione da ministro, sottoposta al Parlamento italiano: esperti nazionali e internazionali hanno scritto che l’opera ci vuole, ma che questo progetto è vecchio di vent’anni ed è devastante per l’ambiente. Quale sindaco approverebbe nella sua città un progetto simile? Nessuno».
L’Italia riceve la sesta rata del Pnrr ma la spesa rimane lenta… Come mai?
«Abbiamo due temi che rallentano la spesa: da una parte c’è una questione amministrativa legata ai ricorsi, a situazioni che agiscono nell’iter di aggiudicazione della gara o dell’avvio dei lavori. Nel divenire delle procedure, c’è spesso qualche elemento che rallenta. E poi c’è un secondo tema: la governance del Pnrr è concentrato sulla Presidenza del Consiglio dei ministri, mettendo in secondo piano il ruolo del Ministero dell’economia e finanze, fondamentale per accelerare la spesa».
© Riproduzione riservata