Ieri sera, ascoltando al telegiornale l’ennesima quotidiana notizia di un femminicidio, ho avuto un moto di rabbia, di ribellione e nello stesso tempo di disperazione. Donne che avevano già denunciato il loro assassino, situazioni che avevano manifestato segnali di pericolo. Eppure quello Stato a cui loro si erano affidate non le ha protette, forse non ha neppure creduto loro fino in fondo e di fatto non ha adottato alcun provvedimento utile a difenderle e impedire il loro assassinio. È vero che sul tema della lotta alla violenza alle donne si sono fatti tanti passi avanti sul piano normativo e non solo.

Mi piace ricordare che il codice rosa è nato nella mia Toscana, che ho contribuito a trasformarlo da progetto in una rete, che abbiamo collegato l’intervento sanitario a quello sociale, che abbiamo protocolli avanzati sottoscritti con le forze dell’ordine e le Procure per una presa in carico efficiente e rispettosa della donna vittima di violenza. Ma tutto questo, insieme all’inasprimento delle pene, evidentemente non basta. Non basta se continuiamo a registrare numeri di reati indegni di un Paese avanzato.

Certo, c’è un tema culturale da affrontare a partire dalle scuole: è il tema dell’educazione al rispetto dell’altro, del rispetto delle differenze, dell’accoglienza, di un modello di comunità nel quale ci si fa carico dei più fragili, di un’idea dell’amore inclusiva, generosa, universale, ma mai possessiva o aggressiva. Un tema culturale a cui certo non fanno bene le esternazioni di un generale dell’esercito, che purtroppo guida una importante istituzione della mia città, che incita all’odio e all’intolleranza. Anche su questi aspetti, lo Stato deve agire con decisione e nettezza.

Ma sicuramente è necessario riflettere in merito a politiche di prevenzione più efficaci e a misure di protezione che non espongano, dopo la denuncia, la vittima a rischi forse ancora maggiori.

Perché non pensare ad una task force da costituire in ogni capoluogo composta da poliziotti specializzati, magistrati, psicologi e assistenti sociali che, di fronte ad una denuncia di molestie, violenze non gravi, possano immediatamente fare una valutazione approfondita sul livello di rischio e adottare SUBITO provvedimenti conseguenti invece di lasciare queste denunce sotto un faldone polveroso di fascicoli? Perché non investire di più in strutture protette dove le donne che si sentono minacciate, anche prima di subire violenza, possano trovare un rifugio sicuro? So che già c’è ne sono, gestite anche da associazioni con grandi competenze, ma certamente non tutto il Paese è coperto e spesso si interviene solo dopo un episodio di violenza.

Insomma, io credo sia necessaria una ulteriore riflessione su questi drammatici eventi, che prescinda da risposte semplicistiche limitate all’innalzamento delle pene edittali. Quando interviene la pena, spesso una donna, una madre, una figlia, una persona unica e irripetibile non c’è più e resta solo il dolore e il rimpianto.

Non dimentichiamole; non lasciamo che queste morti siano relegate ad una notizia di cronaca quotidiana a cui si finisce per abituarsi; non rassegniamoci dicendo che più di così non si può fare. Proviamoci. Al di là di ideologie e appartenenze. Lo dobbiamo a queste vittime innocenti, lo dobbiamo ad un Paese che vogliamo realmente civile, lo dobbiamo alle giovani e meravigliose donne che devono vivere sé stesse senza paura, lo dobbiamo a noi che abbiamo ruoli nelle istituzioni e che abbiamo il dovere di lasciare le nostre comunità migliori di come le abbiamo trovate.

Stefania Saccardi (Vicepresidente Regione Toscana)

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