Basta ideologie, serve pragmatismo. Oggi Difesa significa sicurezza, ma anche manifattura, innovazione, filiere produttive e occupazione. La “Fabbrica Italia” può e deve giocare un ruolo da protagonista nella nuova economia della sicurezza, senza complessi di inferiorità. È il messaggio del seminario organizzato di recente dall’Osservatorio Proxima, promosso dal gruppo Enzima12, e che Il Riformista ha seguito in esclusiva. A moderare l’incontro Piercamillo Falasca, che ha aperto i lavori con un dato chiave: «Ogni euro investito nella Difesa genera circa due euro di valore aggiunto, e ogni 10 occupati diretti producono 30 posti nell’indotto». Un’industria, quindi, con forti ricadute, in particolare sulle piccole e medie imprese.

Ettore Rosato, segretario del Copasir, ha sottolineato che Difesa e pace non sono concetti opposti. «Oggi l’Italia ha eccellenze come Leonardo e Fincantieri – ha detto l’esponente di Azione – ma deve anche valorizzare le PMI, le startup e le competenze diffuse nei territori». Ha poi richiamato l’attenzione sulla crescente convergenza tra tecnologie civili e militari, citando la cybersecurity sanitaria come esempio virtuoso di applicazione duale. Massimo Artini, vicepresidente del board del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (DIANANATO), ha evidenziato il bisogno di integrare nuove imprese nel settore: «C’è un’esigenza crescente di includere imprese manifatturiere oggi escluse dal mondo della Difesa, ma servono percorsi di qualificazione e accesso regolato. La massa critica attuale non basta a rispondere alla domanda che verrà». Ha anche spiegato che strumenti europei come EDIP (European Defence Industrial Programme), la cui partenza è prevista per la seconda metà del 2025, potranno finanziare sia la ricerca che la fase produttiva.

A dare una prospettiva storica alla questione ci ha pensato Alessandro Aresu, analista ed esperto di geopolitica: «Difesa e innovazione sono intrecciate da sempre: dal Progetto Manhattan ai primi esperimenti di IA finanziati dalla Marina americana. Oggi l’Europa deve riscoprire la necessità di una propria capacità produttiva autonoma». Ha messo in guardia dalle dipendenze strategiche anche in settori poco visibili ma cruciali, come la chimica per la Difesa, e ha ribadito l’urgenza di costruire filiere sicure e integrate.

Un tema trasversale emerso è quello della formazione dei lavoratori. Le imprese del settore della Difesa e quelle che intendono entrarci hanno tecnici qualificati, ma servono almeno tre anni per formarli. Non si può lasciare tutto sulle spalle del settore privato: serve una rete solida di upskilling, reskilling e politiche attive del lavoro, guidata da una visione condivisa. Il messaggio finale è netto: serve un cambio di paradigma, un’alleanza tra istituzioni, imprese, finanza e formazione. Il rischio da sventare – aggiungiamo noi – è che la sindrome del pacifismo ideologico faccia perdere all’Italia non solo la sfida della Difesa, ma anche la rivoluzione industriale a essa connessa.

Eleonora Tiribocchi

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