La mina occidentale
Trump come il Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi nun siete un c…”. Sognare le dogana globale e sdoganare le parolacce

Lasciamo ai cultori delle dottrine economiche l’arduo compito di analizzare modalità, obiettivi, inciampi, effetti del minuetto allucinatorio di Trump che brandisce (e poi blandisce) dazi come fossero la clava di Fred Flinstone del cartone animato di Hanna e Barbera. Da noi, al tempo suo, ben ribattezzato “Gli antenati”.
L’invito erga omnes al bacio
Più modestamente ci permettiamo di rivolgere lo sguardo agli effetti collaterali del prolasso semantico che ha preceduto nella stessa giornata il “dono” ai paesi “alleati” della dilazione di tre mesi dell’entrata in vigore del dazio da lui stesso stabilita. Ci riferiamo, ovviamente, a quella sguaiatezza da rapper suburbano che ha avuto per protagonista quel famoso invito erga omnes al bacio (e ci fermiamo qui) che adesso renderà imbarazzante per tutti una visita al Presidente nella stanza ovale. Tuttavia, oltre l’in sé della volgarità c’è parecchio di più. È l’ultimo gradino (per ora) di una degradazione semantica che ha avvolto in una nube tossica il lessico del potere con la discesa agli inferi della politica, passata dal ruolo nobile di dispensatrice della pedagogia democratica, a quello di megafono del turpiloquio in voga negli angiporti. In questi giorni si è analizzato e scritto parecchio sulla postura volgare di Trump, addirittura considerandola elemento costitutivo del suo successo elettorale.
Il populista che guadagna consenso
È un po’ come stare nella filosofia dell’uno vale uno di nostra recente memoria: il populista guadagna il consenso non facendosi strumento di emancipazione del popolo, ma coccolando i suoi istinti più bassi, contrastando ogni barlume di cultura, cominciando dal linguaggio e sdoganando le offese più trash. Niente concetti complessi, ma promozione del “banale”, del “pregiudizio” della guerra senza quartiere alla complessità e alla sfumatura: o è bianco o è nero. È tutto binario e semplificato, come nell’algoritmo. È dunque l’ingresso in pompa magna del “c..” nel linguaggio presidenziale. Il sogno di Trump sembra essere la “dogana globale” ma intanto sdogana le parolacce. C’è un sottotesto molto violento in questa nuova scatologia del potere populista, una sorta di autocrazia delle parole in modalità “Marchese del Grillo” che ricorda al popolo bue: “io so’ io e voi non siete un c.”. Non va sottovalutato questo modo di comunicare perché rappresenta la trasfigurazione delle regole democratiche, del “check and balance” su cui poggia il presidenzialismo americano, in un contesto storico che non ha mai conosciuto la forma-partito europea, mediatrice tra corpo elettorale e rappresentanza e che, pertanto, ha messo precisi paletti per evitare derive autocratiche valorizzando al massimo il ruolo del Parlamento e contando ovviamente sul self control dello stesso presidente.
Il salto precipitoso
Ecco perché l’affabulazione trumpiana, ormai conformata più allo stile del rapper Puff Daddy che a quella di George Washington, rappresenta un salto pericoloso verso un precipizio senza riparo perché è il passo successivo rispetto al dogma sballato dell’allineamento populista, che già troppi epigoni incontra nel mondo, Italia compresa. C’è violenza in quell’affabulazione sporca, sì, perché viene imposta da uno scranno autorevole come può essere la poltrona di uno dei leader egemoni nel globo: somiglia, mutatis mutandis, alla spavalderia di Harvey Weinstein, l’insidiatore seriale del “me too”, e dei suoi epigoni, esercitata da un altro trono, con la medesima insofferenza alle regole imposte dalla legge e dalla morale che può dare il senso di impunità.
L’esempio di Carlo d’Inghilterra
A proposito di troni: per chi cercasse modelli di capi di Stato capaci anche in contesti istituzionali di mantenere un volto umano e linguaggio capace di arrivare a tutti, ci permetteremmo di segnalare Carlo d’Inghilterra. Con grande stile e indubbia simpatia è stato capace di tramutare un romantico anniversario di matrimonio, evento privato, in una visita di Stato, classico evento speciale della diplomazia che implica relazioni tra stati sovrani, dicendo sempre cose di senso con rispetto ed ironia. Chissà, forse potrebbe essere d’aiuto anche la lettura di Dante, prediletta dal re. Magari leggendolo potremmo riscaldarci cuore ed intelletto e finalmente potremmo anche noi “uscir a riveder le stelle”, operazione per cui diventa, com’è noto, necessario rialzare la testa.
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