«Definire “giusto processo” quello che si è appena celebrato in Vaticano nei confronti del cardinale Giovanni Angelo Becciu e degli altri imputati mi pare un po’ azzardato», afferma l’avvocato Gian Domenico Caiazza, difensore di Raffaele Mincione, il broker condannato a cinque anni e sei mesi per la vicenda dell’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra.

Avvocato Caiazza, come funziona la giustizia vaticana?
«Premesso che il Santo Padre nomina sia il presidente del tribunale e sia il promotore di giustizia, quindi chi rappresenta l’accusa, ho visto l’applicazione di regole che non credo abbiano equali in nessun Paese democratico dove vige la separazione dei poteri».

Il Vaticano, non per voler giustificare, è di fatto l’ultima monarchia assoluta esistente ed il Papa è poi il vicario in terra di Nostro Signore…
«Ed infatti al Santo Padre la legge delle Stato Vaticano riconosce poteri che sono impensabili altrove».

Ad esempio?
«Modificare le regole processuali, nel nostro caso sempre a sfavore degli imputati, in qualsiasi momento del procedimento e senza dover – ovviamente – rendere conto a nessuno.

Come avengono queste modifiche?
«Con i Rescripta. Sono atti firmati dal Sommo pontefice con cui si cambia la procedura. Ne sono stati fatti ben 4».

Durante il processo le difese hanno mosso molte critiche, stigmatizzando il fatto che, ad esempio, dei video con testimonianze ritenute importanti venivano censurati, gli interrogatori prima calendarizzati e poi cancellati, i verbali depositati erano pieni di omissis, alcune chat significative tenute addirittura nascoste. È difficile una difesa in queste condizioni.
«Certo, ma non solo. Al promotore di giustizia sono stati concessi poteri senza limiti, come quello di prolungare a discrezione i tempi dell’istruttoria sommaria».

Il processo è iniziato a luglio del 2021 e l’accusa ha operato fino alla richiesta di rinvio anche non consegnando gli atti, senza alcun controllo da parte del giudice.
«Esatto. Ed è una anomalia clamorosa».

Un processo che nasce iniquo?
«Va dato atto al presidente Giuseppe Pignatone di un certo sforzo che non è però valso a ripristinare la logica del contradditorio fra accusa e difesa. L’intera istruttoria è stata appiattita sulle ipotesi accusatorie».

Mincione venne chiamato da Credit Suisse, la banca di appoggio per le finanze vaticane, dopo essere stato indicato alla segreteria di Stato per un investimento nel palazzo a Sloane Avenue a Londra. Tutti si sono scandalizzati ma da sempre la Santa Sede per sostenersi effettua investimenti finanziari.
«Esatto. E questa operazione del palazzo a Londra aveva tutte le caratteristiche per essere un buon investimento».

Il suo assistito ha agito nella massima trasparenza?
«Era una persona sulla quale la banca elvetica, che ricordo in questo processo è stata chirurgicamente tenuta fuori, riponeva la massima fiducia».

L’accusa era di truffa?
«Da cui è stato assolto per essere condannato per peculato per una interpretazione del codice canonico. L’articolo 1284 che riguarda la violazione delle disposizioni sull’amministrazione dei beni ecclesiastici. I soldi della segreteria di Stato dovevano, in altre parole, essere gestiti con il criterio del ‘buon padre di famiglia‘ e un investimento immobiliare presentava invece comunque dei rischi essendo di tipo speculativo. Non capisco come si possa pretendere che Mincione conoscesse le norme del diritto canonico, è ammesso poi che dicono questo».

Ora cosa succede?
«Faremo appello. Nel secondo grado non ci sono più civili, come nel primo grado, ma dei religiosi. Il collegio è composto da tre monsignori».

Ed in caso, speriamo di no, la sentenza venisse confermata?
«Come tutte le sentenze straniere dovrà essere trasmessa al ministero della Giustizia per la rogatoria. Non credo comunque sia possibile dare esecuzione ad una sentenza arrivata al termine di un processo che si è svolto in questo modo».