Visione d'insieme
Partiamo dalle città metropolitane per riformare il governo del territorio
“Non c’è sovranità nella solitudine” ha detto Mario Draghi nel suo discorso in Senato. Una frase che riassume molto bene quel che penso rispetto alla necessità di costruire politiche sovranazionali e iniziative transnazionali come unica possibilità di risposta ad ogni questione sul tavolo della politica dei nostri Stati. Una frase che contiene oltre mezzo secolo di lotte per gli Stati Uniti d’Europa che hanno unito Altiero Spinelli, Marco Pannella, Emma Bonino e ciascuno di noi che si batte da sempre per avere più Europa e non meno Europa.
Guardando questa frase e provando a coniugarla con livelli territoriali e amministrativi più piccoli, il significato resta limpido. Siamo davanti alla prossima tornata elettorale amministrativa che vedrà molti grandi comuni andare al voto; tra questi: Roma, Milano, Bologna, Napoli, Palermo e la mia Torino. Le forze politiche e chi, come il sottoscritto, aspira a candidarsi alla guida della città, stanno approntando programmi e costruendo visioni per il futuro. Io sono convinto che, in ognuna di queste città, il punto di partenza dovrebbe essere la sfida di immaginare ogni problematica da affrontare in un’ottica di area metropolitana.
Come si può pensare di progettare un nuovo modello di città, dal punto di vista della sostenibilità ambientale e dei trasporti, dal punto di vista della gestione dei servizi ai cittadini, dello sviluppo culturale e turistico, della cura degli edifici scolastici e degli investimenti, per creare condizioni favorevoli all’arrivo di finanziamenti e imprese, senza ragionare in un’ottica di area vasta? Come è possibile guardare solo dentro i confini del capoluogo? La piccola-grande rivoluzione che dobbiamo fare è acquisire la piena consapevolezza che non c’è sovranità nella solitudine e non c’è soluzione possibile guardando solo il proprio ombelico, senza fare i conti con dinamiche complesse che travalicano ampiamente i confini di un comune, per quanto grande esso sia.
Il “caso Torino” è emblematico. Chi elegge il sindaco di Torino (850.000 abitanti) elegge in automatico il sindaco metropolitano che comprende un territorio vastissimo che conta ben 312 comuni e 2.250.000 abitanti. Senza entrare nella irragionevole (e incostituzionale a mio avviso) modalità di elezione che mette nelle mani di una minoranza l’elezione di un sindaco metropolitano per la maggioranza degli abitanti, resta completamente da attivare la potenzialità delle funzioni della città metropolitana. Funzioni che devono innanzitutto svolgersi nel coordinamento e nella costruzione di politiche condivise tra i grandi comuni che circondano il capoluogo e il capoluogo stesso.
Politiche che devono sapere differenziare le esigenze dell’area urbanizzata con le esigenze rurali e montane delle aree periferiche che sono e saranno sempre più elemento centrale di sviluppo dell’economia verde di oggi e di domani. Dobbiamo in sostanza riformare il concetto di governo del territorio ampliando la visione nello spazio e nel tempo, ragionando su aree vaste e su periodi di programmazione che devono travalicare i 5 anni di consiliatura. Chiunque si approcci alle prossime elezioni senza avere ben chiare queste esigenze non farà un buon servizio alle città e agli elettori, per qualsiasi parte politica si candidi.
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