In una decisione unanime, pronunciata lo scorso 25 marzo da remoto a causa dell’emergenza Covid-19, la Corte suprema del Regno Unito ha dichiarato che il governo britannico ha agito contro la legge nel fornire informazioni agli Stati Uniti, in un caso giudiziario, senza ottenere da essi garanzie sulla non applicazione della pena di morte. Si tratta del caso di Shafee El Sheik e Alexanda Kotey, due ex cittadini britannici, accusati di essere membri di uno dei più feroci gruppi jihadisti, noto come “The Beatles”, che operava in Siria e che è stato responsabile dell’omicidio di cittadini britannici e statunitensi. Catturati nel gennaio 2018, trattenuti dalle forze curde in Siria per 18 mesi e attualmente sotto la custodia degli Stati Uniti in Iraq, se condannati, potrebbero essere giustiziati.

Il caso è stato sollevato dalla madre di El Sheik, Maha Elgizouli, che ha presentato ricorso contro la decisione dell’allora ministro dell’Interno britannico Sajid Javid, in quanto avrebbe facilitato intenzionalmente la possibile imposizione della pena di morte negli Stati Uniti. Su richiesta di Javid, Scotland Yard ha, di fatto, condiviso con gli Stati Uniti i risultati di un’indagine di quattro anni sui “Beatles” dopo che il PM britannico aveva concluso che non vi erano prove sufficienti per perseguire i due in Gran Bretagna. L’accusa in uno Stato straniero era, secondo Javid, necessaria per garantire che giustizia fosse fatta, a prescindere dalle garanzie previste dal common law. Così, seppure con il rifiuto dell’amministrazione Trump dell’epoca di assicurare l’esclusione del ricorso alla pena di morte ad un Paese che ha fatto della sua abolizione uno dei principali obiettivi della politica estera in materia di diritti umani e nonostante le esitazioni di Kim Darroch, allora ambasciatore britannico a Washington, il quale gli espresse in una lettera le sue preoccupazioni, l’ex ministro scelse di cedere alle pressioni politiche statunitensi, dando così l’impressione che il Regno Unito, in determinate circostanze, sia disposto a chiudere un occhio sull’uso della pena capitale e, quindi, sul rispetto delle sue stesse leggi.

È facile che motivi di opportunità politica internazionale spingano a mettere in discussione le procedure, soprattutto con crimini legati al terrorismo, quando la priorità collettiva diventa la sicurezza nazionale e l’opinione pubblica è emotivamente più vulnerabile. Ma cosa accade se la risposta di un governo, anche davanti ai reati più aberranti, si basa sull’opportunità politica piuttosto che sul rispetto dei propri principi e delle proprie leggi? Questa è la domanda che ha spinto due importanti organizzazioni britanniche, Reprieve e The Death Penalty Project, a prendere parte al procedimento giudiziario. La preoccupazione che la decisione di Javid avrebbe portato il governo a fare un passo indietro rispetto alle altre garanzie sui diritti umani, fondamentali per i valori delle democrazie liberali, oltre che a minare decenni di diplomazia in materia di lotta alla pena capitale nel mondo, era condivisa da molti. Il Regno Unito ha abolito la pena di morte oltre 50 anni fa giudicandola immorale e inaccettabile. Tuttavia, si legge nella sentenza, non sono né l’immoralità né l’inaccettabilità della pena di morte l’oggetto del processo, bensì la legalità della decisione del governo di fornire assistenza giudiziaria agli Stati Uniti su procedimenti penali che avrebbero potuto includere la richiesta di tale pena. Sempre la stessa sentenza mette in chiaro la gravità dei crimini di cui sono accusati El Sheik e Kotey, definendoli “the worst of the worst”, ma la legge è chiara: il Data Protection Act 2018 stabilisce che il trattamento dei dati di un individuo, con una qualsiasi residenza o cittadinanza, verso un Paese terzo, deve avvenire nel rispetto di determinate condizioni. Tali condizioni, in accordo con la CEDU e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, contemplano alcune garanzie, tra le quali il non utilizzo dei dati per richiedere o eseguire condanne a morte o qualsiasi forma di trattamento crudele e inumano. Viene inoltre richiesto al responsabile del trattamento dei dati di rivolgere la sua attenzione ai diritti e alle libertà fondamentali dell’interessato affinché questi prevalgano sull’interesse pubblico nel trasferimento dei dati.

La sentenza Elgizouli non è solo un risultato straordinario che restituisce centralità allo Stato di diritto nel Regno Unito, ma costituisce un punto di riferimento per chiunque, in paesi guidati da democrazie liberali, assista all’offuscamento dei principi cardine che garantiscono il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali per ragioni di opportunità politiche del momento.