L’anno della svolta politica di Asor è il 1972. In quell’anno successero due cose importanti nella sua vita. Ottenne la cattedra di letteratura italiana all’Università di Roma (a Roma, all’epoca, c’era una sola Università) e aderì al Pci, dopo lo scioglimento del Psiup (il partito della sinistra socialista guidato da Basso, da Foa e da Valori) che aveva clamorosamente perduto le elezioni politiche di maggio, conquistando quasi un milione di voti ma senza raggiungere in nessuna città il quorum che era necessario per entrare in Parlamento. Asor era stato già nel Pci, da ragazzo, ma era uscito nel ‘56 per protesta contro l’invasione sovietica dell’Ungheria.

Io l’ho conosciuto proprio quell’anno, personalmente. Avevo letto i suoi libri, i suoi articoli sui giornali ma non lo avevo mai incontrato. Studiavo filosofia a Roma e facevo parte della sezione universitaria del Pci. Lui aveva quella sua aria un po’ superiore. Credo che sia stata la persona più sicura di sé che io abbia mai incontrato. Non era attraversato da molti dubbi. Però non era neppure arrogante. Neanche un po’. E con noi studenti discuteva di politica con grande cordialità, mettendosi al nostro livello, interagendo, talvolta persino assorbendo qualcosa delle nostre idee molto ribelli. Perché anche lui era un ribelle. Per tre anni ci siamo frequentati, sia nelle aule universitarie sia – soprattutto – nelle stanze e nel teatro della federazione comunista di via dei Frentani, sia al “rettorato” dove si tenevano le riunioni del consiglio di amministrazione dell’Università, nel quale eravamo entrati anche noi studenti. A noi della sezione universitaria Asor piaceva molto. Per una ragione semplice: costituiva un elemento fortissimo di rottura nella routine della burocrazia comunista.

La burocrazia comunista era fortissima, spesso noiosa, ma anche molto importante. Quel partito, che rappresentava un terzo degli italiani e che fu il motore vivente di clamorosi processi di riforma del paese, non sarebbe mai sopravvissuto, e non avrebbe mai avuto l’aderenza che aveva alla società, senza il suo apparato burocratico. E i suoi riti, le sue frasi fatte, gli slogan. Asor dentro quella macchina lì però non ci stava bene. Gli potevi chiedere tutto, ma non di diventare burocrate, o conformista, o di sostituire, di fronte a un qualsiasi avvenimento, la linea del partito alla sua capacità di pensiero. Asor pretendeva che fosse rispettata la sua capacità di pensiero e la cosa incredibile è che nella federazione romana del Pci, che forse era una delle più burocratiche e staliniste d’Italia, Asor fu accettato così com’era. I burocrati capirono che il suo pensiero serviva, svecchiava, creava movimento. Il merito forse fu del segretario della federazione di allora, che era un personaggio fantastico, del quale prima o poi bisognerà tornare a parlare. Si chiamava Luigi Petroselli, era un uomo del popolo ma nessuno come lui sapeva aggregare e governare gli intellettuali più diversi: Lombardo Radice, Tecce, Argan, Nicolini, Giannantoni, e anche Asor Rosa.

Io, ragazzetto, insieme agli altri miei compagni di università ho imparato diverse cose da lui e dal suo fascino. In particolare imparai la sua lezione sulle “due società”, che mi è sempre rimasta in mente. Lui le chiamò così. Provando a innovare le vecchie teorie marxiste sulle classi. La sua teoria – modernissima e incompresa – era riassunta in un libretto che scrisse nei primi mesi del 1978. E che chiedeva al Pci di accorgersi di una rottura che era avvenuta nel popolo e che rischiava di non rimarginarsi e di essere fatale per la sinistra. Mi ricordo che presentò il suo libro, mi pare alla casa della Cultura, la sera del 15 marzo del 1978. Ero lì, affascinato come sempre. Dovevo poi il giorno dopo scrivere il resoconto per l’Unità. Presi tantissimi appunti. Ma il giorno dopo, alle 9 del mattino, fu rapito Moro. Il resoconto passò in cavalleria. E anche la teoria di Asor Rosa. Nessuno mi leva dalla mente l’idea che l’inizio del declino della sinistra coincida con quella incomprensione.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.