La fotografia
Perché le scuole italiane sono a pezzi da decenni, non chiamatela emergenza: tra 110 anni ne riparleremo…
Cosa è cambiato negli ultimi decenni? Nulla. Nulla come le manutenzioni fatte, nulla come gli interventi eseguiti, nulla come i fondi utilizzati, nulla come la dignità di un’Istituzione
“Il Censis lancia l’allarme: le scuole vanno in pezzi” titola il Giornale. “I nostri ragazzi in pericolo nella scuola che cade a pezzi”, scrive il Corriere a tutta pagina. “Le scuole italiane cadono a pezzi: servono 200 miliardi”, si allarma Repubblica. “Scuole al gelo” è il titolo di un reportage de La Stampa. Rispettivamente nel 2013, 2015, 2019 e una settimana fa. Ecco cos’è cambiato in questi anni sul fronte dell’edilizia scolastica: nulla.
Nulla come le manutenzioni fatte, nulla come gli interventi eseguiti, nulla come i fondi utilizzati, nulla come la dignità di un’Istituzione.
Nelle ultime settimane con l’arrivo del freddo e del maltempo è tornata agli onori delle cronache lo stato dell’edilizia scolastica italiana. Nella redazione di ScuolaZoo siamo stati sommersi da ogni tipo di esperienza vissuta da studenti di tutta Italia, praticamente un master in architettura da invidiare ai migliori atenei.
C’è l’istituto del milanese (così sfatiamo subito il mito del sud arretrato mentre al Nord le scuole sono tutte disegnate da archistar) in cui la palestra è allagata da mesi perché il controsoffitto era crollato per un temporale e ora fa passare la minima goccia d’acqua. Non da giorni o settimane: mesi. Nello stesso istituto ci sono muri che cadono a pezzi in mezzo alle aule o infiltrazioni degne di un torrente alpino.
A Roma invece un istituto tecnico ha visto un laboratorio allagato dopo una leggera pioggia. Il tutto mentre i ragazzi erano dentro a fare lezione: lezione che probabilmente non potranno più recuperare visto che il laboratorio è adesso inagibile. A Latina si devono essere sentiti in competizione e quindi un altro istituto tecnico ha la palestra inagibile dalla fine dello scorso anno scolastico, sempre per un allagamento.
C’è poi il liceo scientifico che si è digitalizzato e ha eliminato le vecchie lavagne di ardesia in favore delle lim, peraltro touch. Tuttavia, manca ancora il “collaudo” e quindi non si possono usare, col risultato che studenti e professori sono senza lavagne. Perché per la nostra burocrazia è fondamentale collaudare una lavagna, mica si tratta di un ponte autostradale.
Si sprecano le foto di studenti ricoperti da coperte e piumini, professori che si portano la stufetta elettrica da casa e foto di termometri che misurano 8 o 9 gradi. L’apice è una scuola che ci aveva scritto nel 2021 segnalando i problemi al riscaldamento: ci ha riscritto quest’anno dicendo che il riscaldamento funziona. Nel frattempo però le finestre stanno cadendo, letteralmente, per terra. Non stupiamoci se qualche classe decide di tornare a casa per non stare sei ore seduta con 8 gradi o se in altre gli studenti si organizzano per scioperare (molte volte supportati da docenti e personale amministrativo). Stupiamoci se queste scene sono le stesse viste ogni inverno da almeno quindici o vent’anni. Ma forse saranno gli ultimi anni?
Già perché tra i fondi previsti dal PNRR, ben 3,9 miliardi (miliardi!) di euro sono destinati a “rendere gli edifici pubblici adibiti a scuole del primo e secondo ciclo di istruzione innovativi, sostenibili, sicuri e inclusivi, con interventi di messa in sicurezza, adeguamento sismico, efficientamento energetico e sostituzione edilizia.”. Di questa somma, 3,2 miliardi sono già stati stanziati. L’iter, che probabilmente è lo stesso per il collaudo delle nuove lavagne, è iniziato nel 2021 e si dovrebbe concludere nel 2026, per un totale di oltre 2.100 interventi di edilizia. Mancano quindi tre anni: saranno sufficienti per smettere di leggere, dal 2026, titoli come quelli degli ultimi dieci anni?
Probabilmente no, ma aspettiamo. Nel frattempo potremmo discutere su come la scuola, l’ambiente in cui l’Italia forma il proprio futuro, sia indegna di tale compito. Di come la dignità e l’autorevolezza di questa istituzione sia lasciata sulle spalle di professori, insegnanti e studenti. Di come in 60 anni non siamo riusciti né ad aggiornare i programmi scolastici né a far sì che funzionino dei caloriferi. Di come ogni anno si rileggano gli stessi problemi e dei rimpalli di responsabilità tra Comuni, Province e Città metropolitane, dirigenti e ministero.
Nel 2013 il ministero delle Infrastrutture ha stimato in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici del Belpaese: centodieci anni. Sono passati dieci anni da quella stima, che probabilmente se rifatta oggi porterebbe il numero a 150.
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