Non sarà un caso se fin dalle sette del mattino una lunga fila, soprattutto di giovani, attende di entrare nel tribunale di Brescia dove alle 9,30 si discute sulla revisione del processo sulla strage di Brescia dell’11 dicembre 2006. Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati all’ergastolo per la morte di quattro persone tra cui un bambino di due anni, sono colpevoli o innocenti? È sufficiente la decisione di ben 26 giudici, dalle prime indagini fino alla Cassazione, a stabilire che sono stati proprio loro, quel giorno, a massacrare a sciabolate e colpi di bastone persone innocenti e poi dare fuoco al teatro della strage? Gran parte dell’opinione pubblica è dubbiosa. E, caso rarissimo, alla richiesta di revisione da parte dei quattro legali dei condannati (Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux), si è affiancata quella di un magistrato, Cuno Tarfusser, sostituto procuratore generale a Milano. Il quale ha affrontato prima il dissenso della sua superiore Francesca Nanni, e poi la censura del Csm. Ma ha insistito. Anche se nei suoi confronti, nella prima udienza del primo marzo scorso, hanno avuto toni liquidatori proprio due suoi colleghi, il procuratore generale di Brescia Guido Rispoli e l’avvocato dello Stato Domenico Chiaro: non aveva titolo per farlo, hanno sancito in coro.

I tre pilastri dell’accusa e le suggestioni

Ma l’attesa era riservata alla seconda udienza nella giornata di ieri. Finalmente hanno parlato gli avvocati, e i giudici hanno potuto ascoltare, passo dopo passo, gli argomenti che demoliscono i tre pilastri dell’accusa: le confessioni degli imputati, la testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage, e una macchia di sangue trovata sul battitacco dell’auto di Olindo. Ma non solo.
Perché un processo è fatto di tante cose, le prove, gli indizi, le intuizioni degli investigatori, ma spesso anche le suggestioni. E in questo caso di suggestioni ce ne sono state tante, soprattutto per quel che riguarda le confessioni degli indagati, che paiono portati per mano fin da quando vengono intercettati nella loro casa, mentre sono ancora liberi, e si capisce che non c’entrano niente con la strage. Ma anche in seguito, quando in carcere viene loro concesso improvvisamente un colloquio, intercettato dai carabinieri. E Olindo, considerato dagli inquirenti il soggetto debole, dice a Rosa che, benché innocenti, converrebbe loro confessare. E lei dice “Ma cosa c’è da confessare, non siamo stati noi”. E lui: “Lo so, aspetta…ma se facciamo così prendiamo anche dei benefici e ce ne andiamo a casa”. Il successivo 10 gennaio 2007 Rosa Bazzi confessa. Vediamo gli elementi a discarico portati ieri, nella seconda udienza, dai legali che assistono lei e Olindo.

Il movente che non c’è come le tracce di sangue

Non c’è il movente. Che sarebbe determinato da banali liti di ballatoio. Raffaella Castagna, una delle vittime, faceva rumore, dava fastidio. Giusto sterminarla, insieme al suo bambino, a suon di sciabolate.
Quattro persone sgozzate e nessuna traccia di sangue sul corpo e sugli abiti dei due assassini. Avrebbero fatto in tempo a lavarsi, cambiarsi e trafugare gli abiti insanguinati in pochi minuti, mentre già arrivavano i pompieri perché nel frattempo era stato dato fuoco al palazzo. Nessuna traccia neppure del loro dna sul luogo del delitto. Nell’appartamento di Raffaella Castagna ci sono invece impronte di persone mai identificate. Si è detto che i due condannati non avessero un alibi per i momenti della strage. In realtà i due coniugi hanno potuto esibire uno scontrino di Mc Donalds di Como che registra il pagamento un’ora dopo il delitto. Cioè il momento in cui in genere si paga il conto dopo aver cenato.

La testimonianza di Frigerio

Ma veniamo a quelle che l’accusa continua a considerare i tre veri pilastri. La famosa pistola fumante, la regina delle prove viene considerata quella che in realtà appare come la più debole. La testimonianza di Mario Frigerio, il sopravvissuto per la casualità di un’anomalia alla carotide, pur avendo riportato gravi danni cerebrali da intossicazione di monossido di carbonio. Se ne è occupato ieri l’avvocato Fabio Schembri. Ricordiamo tutti, e i giornali dell’epoca lo avevano riportato in modo chiaro, quel che aveva detto il teste nel primo interrogatorio: sono stato aggredito da una persona sconosciuta di carnagione scura, con tratti mediorientali. Poi, dice l’avvocato, i magistrati “fanno per ben sette volte involontariamente domande suggestive”. E così diventa il principale accusatore di Rosa e Olindo colui di cui il neuropsichiatra chiamato dalla procura aveva detto “Frigerio non saprà fare banali sottrazioni, non sa che giorno sia…”.

Secondo pilastro, unica prova scientifica. Se fosse una prova, dicono gli avvocati. Si tratta della macchia di sangue di un’altra delle vittime, Valeria Cherubini, trovata sul battitacco dell’auto di Olindo Romano. Una prova cercata, più che trovata, dicono i legali. Perché spunta fuori dopo settimane, dopo che l’auto era stata usata diverse volte. Inoltre non si sa dove la macchia sia stata repertata. Ci sarebbero anche buchi nella catena di custodia e pasticci di firme. Molto ambigua l’unica “prova scientifica”.
Che dire del terzo pilastro, la confessione dei due condannati? Basterebbe ricordare che mai la confessione può essere considerata prova. Ma è sufficiente ascoltare le registrazioni dei colloqui tra i coniugi, come ha ricordato ieri l’avvocato Schembri, la loro semplicità credulona che viene interpretata come astuzia. Anche il loro amore generoso per cui Rosa, saputo che il marito vuole confessare qualcosa che non ha commesso, dice all’agente di custodia del carcere: “Può dire a mio marito che me la prendo io la responsabilità anche se non è vero?”. La data della prossima udienza è stata fissata per il 10 luglio.

 

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.